da Oreste Tappi, Roma
Condivido in tutto l’ultimo mail di Piergiorgio Welby sull’eutanasia, compreso il modo come sempre raffinato con cui lo dice, e mi dispiace concentrare l’attenzione su un particolare del tutto secondario. Sarei però contento che appunto intellettuali così attenti alle parole dessero una mano a noi della scuola, per quel che vale (il problema, non la scuola), ad eliminare certi luoghi comuni pseudo umanistici. La parola “pietas” non si presta affatto a designare “la forza e la coerenza del pensiero laico”, bensì il principale valore ideologico-propagandistico di una società etnocentrica come quella romana antica. Giovenale non sopportava che Roma fosse invasa da gente che non era cresciuta mangiando olive sabine (provate a sostituire con “padane”!). La “pietas” di Enea consiste nell’abbandonare donne sedotte (purché non “romane”) in nome di Roma. Per Livio, le guerre sono “pie” (nemmeno lui arriva a definirle umanitarie) se fatte da Roma o dai suoi alleati, se no sono “empie”. Gli dèi, i genitori e soprattutto la patria vanno “piamente” venerati, ma solo quelli romani, e contro quelli degli altri. Certo uno come Virgilio ci sta stretto, ma la sua “pietas” rimane salvare chi si sottomette a Roma e sterminare i “superbi”. E’ stato in realtà il cristianesimo, specializzando la “pietas” sul solo versante religioso-rituale (come per tante altre parole-valore latine, persino “domum” in “duomo”), a modificarne il significato: non so quanto in meglio, certo non in senso laico.
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