La mediazione tipica e atipica

La mediazione tipica e atipica

Cass. civ., SS.UU., 2 agosto 2017, n. 19161: obbligo di iscrizione e diritto alla provvigione dei Procacciatori di affari

Con la locuzione “mediazione” si è solito indicare sia l’istituto contemplato agli artt. 1754 e ss. del codice civile, sia l’istituto della conciliazione stragiudiziale delle controversie, disciplinato dal Dlgs. n. 28 del 2010.

In questa sede si intende far riferimento al primo dei due istituti menzionati.

Focalizzando l’attenzione sulla disposizione codicistica, emerge che, sebbene collocata nell’ambito dei contratti tipici, la stessa non fornisce definizione alcuna della mediazione.

L’art. 1754 cc. si concentra, infatti, sulla figura del mediatore, definendolo  come “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”, (alla stessa stregua dell’art. 1936 cc., che definisce il fideiussore e dell’art. 2094 cc., che definisce il lavoratore subordinato).

Dalla definizione normativa testé richiamata si evince la caratteristica principale della figura in esame: l’imparzialità.
Il mediatore pone in essere la sua attività senza la necessità di appositi incarichi  e vincoli, pertanto la  mediazione è esclusa in presenza di legami di rappresentanza con le parti coinvolte nell’affare e ciò trova puntuale  riscontro nell’art. 1761 cc.

Solo quando l’opera di mediazione si è conclusa è ammessa la possibilità per una parte di conferire il potere rappresentativo al mediatore.

E’, altresì, esclusa la mediazione qualora il mediatore sia un collaboratore o un dipendente di alcuna delle parti.

Controversa è la natura giuridica dell’istituto in commento.

Il problema principale è, infatti, quello di stabilire se il rapporto di mediazione sia un contratto o un mero atto giuridico.

Sul punto, si sono sviluppati due orientamenti divergenti.

Secondo una prima corrente di pensiero, la mediazione è un contratto tipico e ciò sarebbe confermato dalla collocazione della stessa nel titolo dedicato ai singoli contratti (Titolo II, Libro IV, Capo XI).

Inoltre, solo dando all’accordo la veste giuridica del contratto è possibile che, per il mediatore, nasca il diritto al compenso, di cui all’art 1755 cc. (<<il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento>>).

Per altro maggioritario orientamento, che valorizza il dato testuale (la mancanza di riferimenti alla necessità di un accordo ne escluderebbe la natura contrattuale), la mediazione è, invece, un istituto di chiara matrice non negoziale, quantomeno in relazione alla cosiddetta mediazione tipica o ordinaria, ossia quella espressamente disciplinata dal codice civile.

Il complesso fenomeno della mediazione si configurerebbe come una sorta di ‘fattispecie a formazione progressiva’: più precisamente, l’attività di messa in relazione degli intermediati costituirebbe un atto giuridico in senso stretto, capace di creare il rapporto di intermediazione.

A tale uopo, si ricaverebbe una differente disciplina  applicabile: aderendo alla prima tesi giurisprudenziale,  la responsabilità per inadempimento o danno derivante dall’attività di mediazione sarebbe di natura contrattuale, con tutto ciò che ne discende in tema di  termine di prescrizione, onere probatorio e prova liberatoria; ex adverso, avallando la seconda impostazione, si configurerebbe un’ipotesi di responsabilità aquiliana.

Recente giurisprudenza, però, preferisce adottare una soluzione di compromesso, discorrendo di responsabilità da contatto sociale qualificato, equiparandola, quanto alla disciplina, a quella contrattuale.

Dal modello legislativo esaminato, ossia la mediazione tipica, si discosta la cd. mediazione atipica.

Con tale espressione si intende far riferimento all’ipotesi del mediatore, anche denominato procacciatore di affari,  che -lungi dall’assumere una posizione equidistante rispetto alle parti coinvolte nell’affare- presta la sua attività per incarico (e nell’interesse) di una sola di esse.

Ebbene, sulla base di quanto detto, è evidente l’assenza di terzietà e imparzialità che, invece, contraddistingue il mediatore tipico.

Il procacciatore, infatti, è legato al soggetto da cui ha ricevuto l’incarico da un vincolo propriamente contrattuale, assimilabile al mandato.

Da ciò si ricaverebbe la duplice natura della mediazione atipica: contrattuale, con riferimento al rapporto tra il mandante e il mandatario (o intermediario); da contatto sociale qualificato, in relazione al rapporto tra terzo e intermediario.

Tanto chiarito in relazione alla mediazione tipica, al procacciatore di affari e al regime giuridico che li contraddistingue, è d’uopo ora soffermare la nostra attenzione sull’acceso contrasto giurisprudenziale sorto in merito all’applicabilità o meno delle norme previste per la mediazione (tipica), in particolare la Legge n.39 del 1989 e il  Dlgs. n.59 del 2010 (che esamineremo a breve), anche alle ipotesi di mediazione atipica e, dunque, alla fattispecie del procacciatore di affari.

Più dettagliatamente, dibattuta era la necessità o meno di iscrizione al ruolo di cui all’art. 2 della Legge del 1989, ovvero nei registri o repertori ex art. 73 del Dlgs. del 2010  anche a carico del mediatore atipico (procacciatore di affari), ai fini della corresponsione della provvigione maturata per l’attività posta in essere.

Prima di soffermarci su tale contrasto, recentemente risolto dalla Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza  n. 19161 del 2 agosto del 2017, è bene riepilogare brevemente quanto richiesto dalla Legge n.39 del 1989, concernente la disciplina della professione di mediatore.

L’art. 2 della relativa Legge sancisce l’obbligo di iscrizione a carico dei mediatori.

Detto obbligo ha lo scopo di rendere l’attività di mediazione protetta, esclusiva e non delegabile.

Gli artt. 6 e 8 prevedono, invece, le conseguenze derivanti dalla mancata iscrizione al ruolo: il mediatore non ha diritto alla corresponsione della provvigione; è punito con un’apposita sanzione amministrativa ed è  tenuto alla restituzione, alle parti contraenti, delle provvigioni percepite.

Il Dlgs. n.59 del 2010 (cd. “Decreto Bersani bis”), recante norme sulla “Attività di intermediazione commerciale e di affari”, non ha abrogato la Legge n.39, ma ha apportato delle modifiche e, in particolare, all’art 73, ha soppresso il ruolo di cui all’art.2, prescrivendo, a sua volta, che l’attività sia soggetta a dichiarazione di inizio attività, da presentare alla Camera di Commercio territorialmente competente che, previa verifica dei requisiti autocertificati, iscrive i mediatori nel registro delle imprese, se esercitano l’attività in forma di impresa,  o nel REA (Repertorio Economico e Amministrativo), per le diverse tipologie di attività previste dalla Legge del 1989.

Trattandosi, quello in commento, di un settore delicato, si ritiene opportuno adottare un sistema di controllo preventivo.

Non sono travolti dall’intervento normativo in esame gli artt. 6 ed 8 poc’anzi citati.

Tornando al suesposto contrasto giurisprudenziale, un primo orientamento, più aderente al dato normativo, mette in evidenza la profonda differenza ontologica  tra la mediazione tipica (in cui il mediatore assume una posizione di terzietà e imparzialità rispetto alle parti che lo stesso mette in relazione) e la mediazione atipica (in cui il procacciatore è legato da un vincolo di collaborazione con la parte nell’interesse della quale agisce), escludendo che la previsione contenuta nell’art 6 della Legge n.39, che subordina il diritto del mediatore a percepire la provvigione all’obbligo di iscrizione al relativo albo (oggi sostituito dalle iscrizioni previste dall’art 73 del Dlgs. del 2010), sia applicabile anche alla figura del procacciatore di affari.

Altra giurisprudenza, al contrario, pur consapevole della diversità di cui sopra, evidenzia il nucleo comune alle due figure, ossia l’interposizione tra più soggetti al fine di metterli in contatto per la conclusione di un affare, ritenendo che la fattispecie della mediazione atipica  sia riconducibile all’ambito della disciplina prevista per la mediazione (tipica).

Pertanto, alla luce di questo orientamento, è prevista l’applicabilità analogica della perdita del diritto alla provvigione, a seguito della mancata iscrizione, anche al procacciatore di affari.

Ciò trova conferma all’art. 2 co. IV, della Legge del 1989 (<<l’iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l’attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo , da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili o aziende >>).

Le Sezioni Unite, con la recente pronuncia n.19161 del 2 agosto del 2017, come anticipato, hanno risolto il contrasto de quo, aderendo al secondo filone giurisprudenziale riportato, sostenendo che anche il procacciatore d’affari atipico soggiace all’obbligo di iscrizione all’albo dei mediatori, con conseguente esclusione del diritto alla provvigione, per mancata iscrizione.

Più nel dettaglio, gli Ermellini hanno affermato il seguente principio di diritto:

“È configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale).

Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni, e proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dall’art. 2 comma 4 della legge n. 39 del 1989, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso in cui oggetto dell’affare siano beni immobili o aziende.

Ove oggetto dell’affare siano altre tipologie di beni – e segnatamente beni mobili – l’obbligo di iscrizione sussiste solo per chi svolga la detta attività in modo non occasionale e quindi professionale o continuativo.

Ove ricorra tale ipotesi, anche per l’esercizio di questa attività è richiesta l’iscrizione nell’albo degli agenti di affari in mediazione di cui al menzionato art. 2 della citata legge n. 39 del 1989 (ora, a seguito dell’abrogazione del ruolo dei mediatori, la dichiarazione di inizio di attività alla Camera di commercio, ai sensi dell’art. 73 del d.lgs. n. 59 del 2010), ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione”.

Con la sentenza in esame le Sezioni Unite hanno pertanto chiarito che, eccezion fatta per il caso del procacciatore d’affari che opera stabilmente con un determinato preponente (che risulta assimilabile al rapporto di agenzia, con conseguente inoperatività dell’art. 6 della legge n. 39 del 1989), il contratto di procacciamento d’affari configura una mediazione atipica e, poiché tale fattispecie rientra nell’ambito della figura più generale della mediazione ordinaria, è soggetto alle disposizioni previste dalla relativa normativa sulla necessità di iscrizione (in origine, come ampiamente precisato,  nell’apposito ruolo ex legge n. 39 del 1989, oggi nel registro delle imprese o nel REA ex art. 73 del d.lgs. 59 del 2010).

Ciò non solo per il caso in cui oggetto dell’affare siano beni immobili o aziende, bensì anche quando l’affare riguardi beni mobili, a condizione però – in tal caso – che l’attività di intermediazione sia svolta in modo continuativo o professionale (e, quindi, non occasionale).

In conclusione, alla luce del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite, ruolo centrale è attribuito all’incarico svolto dall’intermediario, in quanto a seconda del carattere “professionale” o “meramente occasionale” con cui viene svolta l’attività di intermediazione da parte del procacciatore, quest’ultimo sarà tenuto all’iscrizione nei relativi registri (o meno) per vedersi riconosciuto il pagamento delle provvigioni.

L’assenza di iscrizione comporta non solo l’applicabilità di quanto previsto agli artt. 6 e 8 della Legge del 1989, ma altresì la preclusione dell’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento, a titolo di indebito oggettivo.

E’ comunque auspicabile un intervento del Legislatore volto ad integrare la legge in vigore.

 


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Angela Fucci

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II"; diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell'Università Federico II di Napoli, abilitata all'esercizio della Professione di Avvocato

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