Manifesti ‘censurati’, compagnia teatrale Ferai contro Comune Cagliari

Censura sull’immagine di uno spettacolo teatrale: secondo la compagnia cagliaritana Ferai Teatro la decisione del Comune di Cagliari che lunedì ha vietato l’affissione dei cartelloni pubblicitari della piece ‘Io sono bestemmia’ non ha nessuna spiegazione se non quella di voler censurare arbitrariamente la foto promozionale scelta per la data.

Lo spettacolo in questione, che andrà in scena nei primi tre fine settimana di marzo nello spazio Ferai Arts Factory di via Dolcetta a Cagliari, è stato promosso con la fotografia scattata da Sabina Murru del protagonista, ritratto frontale a petto nudo, con le braccia aperte, una stola rossa attorno alle spalle e una corona fatta con lucine di natale sulla testa. Un’immagine forte, come forte è il contenuto dello spettacolo: una storia di cruda violenza familiare.

Nulla a che vedere con la religione o con la blasfemia, assicura il regista e protagonista Andrea Ibba Monni, ma una drammatica vicenda personale tramutata in testo teatrale: “‘Io sono bestemmia’ è la seconda parte di un progetto più ampio, già presentato a Cagliari due anni fa, dal titolo ‘Cuore di tenebra’, che indaga sulla violenza compiuta nel quotidiano verso tre adolescenti. Essendo rappresentato un dramma intimo l’immagine scelta per lo spettacolo è forte. La bestemmia di cui parla il titolo, è invece, la metafora di come mi sono sentito da che ho memoria: a causa della mia obesità, della mia confusa identità sessuale, dei miei interessi bizzarri e delle mie scelte ho subito, da sempre, offese rabbiose e gravi come una bestemmia. Questo è quanto porterò in scena con il mio spettacolo”. Uno dei tre manifesti, però, non verrà affisso nello spazio pubblicitario di via Bacaredda che la compagnia aveva scelto (e pagato con una sovrattassa proprio per poter decidere lo spazio) tra quelli disponibili in città. “L’ufficio tributi del Comune ci ha comunicato che di fronte al pannello di via Bacaredda c’è il Conservatorio, è dunque un punto di passaggio per bambini e ragazzi e non sarebbe adatto a un’immagine simile”. Il motivo, scrivono dall’Ufficio tributi, sarebbe la violazione di alcuni punti del contratto per l’affissione, e in particolare gli articoli secondo cui “La comunicazione commerciale non deve contenere affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti; la comunicazione non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose”.

La spiegazione dell’Ufficio tributi è condivisa anche dall’amministrazione: “Non si tratta di censura perché la legge e i codici la vietano, ma le stesse leggi e gli stessi codici vietano di offendere le convinzioni morali, civili e religiose”. E ricordano che, al posto di via Bacaredda vicino alle scuole, la compagnia teatrale potrebbe usare viale Diaz, via Cadello o via Is Guaddazzonis, che garantirebbero lo stesso impatto pubblicitario e gli stessi parametri di visibilità.

“Abbiamo già pagato per stampa e affissione scegliendo i luoghi secondo una precisa strategia pubblicitaria – risponde Andrea Ibba Monni – e il manifesto era stato inviato in bozza all’ufficio tempo fa; questo passo indietro, tra l’altro nei giorni in cui il poster sarebbe dovuto già essere affisso, ci sembra una censura. Permettere poi l’affissione in un luogo e non in un altro ci sembra una decisione incoerente e arbitraria. Perché in questa città appestata di profumo, organizzazioni apertamente fasciste indicono conferenze nei centri di cultura, cartelloni di qualsiasi tipo esibiscono messaggi indegni e prodotti elettorali di dubbia costituzionalità come pornografia di cattivo gusto e noi dobbiamo cancellare un’azione poetica? Noi non intendiamo più chinare la testa davanti a questi atti di inequivocabile e arbitraria prepotenza. Da lavoratori dello spettacolo e da persone comuni veniamo discriminati da istituzioni che dovrebbero essere laiche e preservatrici della libertà di opinione e di espressione. Non si tratta più della pubblicità per uno spettacolo, si tratta del diritto di rappresentare che ora viene negato a me, domani viene negato a te”.

La compagnia ha scelto di rifiutare la proposta alternativa del Comune e di non appendere più nessun manifesto; tramite un legale ha poi chiesto al Comune di recedere dal contratto stipulato con la società per l’affissione e di chiedere il pagamento di danni e spese.

Francesca Mulas

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