Magistratura e correnti: perchè le parole di Morrone non sono “scandalose”

7 Lug 2018 15:01 - di Massimiliano Mazzanti

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo. Caro direttore, ha suscitato “scalpore” ed è stata denunciata come imperdonabile “gaffe” la frase del sottosegretario Jacopo Morrone, secondo il quale non dovrebbero esistere le “correnti politiche” tra i magistrati e in particolare “quelle di sinistra”. Eppure, a ben pensarci, parole e concetto espressi da Morrone sono tutt’altro che scandalosi. Per scandalizzarsi, infatti, bisognerebbe poter rispondere affermativamente alla domanda: esiste una giustizia “di destra” opposta a quella “di sinistra”? Esiste anche una “giustizia di centro”? Inoltre, alla più semplice domanda – se esistano modi diversi, di destra, di sinistra e di centro di amministrare e applicare la giustizia; più semplice perché la pratica dei tribunali italiani conferma l’esistenza di queste differenti modalità – bisognerebbe accostare l’ulteriore questione: sono lecite queste difformità di applicazione?

La Costituzione – che pure non disconosce al magistrato la qualifica di cittadino che, chiaramente, implica la libertà di pensiero e di espressione del pensiero -, al secondo comma dell’articolo 101, stabilisce: «I guidici sono soggetti soltanto alla legge». Nell’interpretazione della norma costituzionale, si fa cadere sempre l’accento sul fatto che, secondo quanto appena letto, i magistrati siano “indipendenti” dagli altri poteri dello Stato, con particolare riferimento a quelli del potere esecutivo. Però, l’articolo 101 non stabilisce per il magistrato la condizione di “legibus solutus”, anzi: ne sottolinea l’assoluta ed esclusiva sottomissione alle leggi. E le leggi, quelle sì, possono essere “di destra” o “di sinistra” o “di centro”, essendo l’espressione più concreta di quella volontà popolare che, temporaneamente e di volta in volta, si afferma nell’ordinamento politico tramite le elezioni. Ne consegue che un magistrato – per quanto abbia diritto come uomo o come donna di avere una determinata idea politica – debba necessariamente applicare le leggi, anche se frutto di una volontà politica differente. Il magistrato “di sinistra” deve applicare ugualmente una “legge di destra” – se approvata regolarmente dalla Camere – e, nel farlo, dovrebbe avere il massimo rispetto e la massima cura di applicarla nell’interpretazione autentica – cioè, “di destra” -espressa dall’organo legislativo. E viceversa, ovviamente.

Il radicarsi di correnti politiche in senso alla magistratura, invece, ha determinato il fenomeno – i cui risultati tutt’altro che esaltanti sono sotto gli occhi di tutti – per il quale ogni singolo giudice si sente libero di applicare la legge in un modo o nell’altro, nel rispetto soprattutto delle sue personali convinzioni. E questo la legge non lo consente e non lo ammette. In particolare, poi, la stessa definizione della più nota corrente “di sinistra” dei giudici italiani – Magistratura democratica – tradisce una concezione faziosa e partigiana del ruolo del magistrato, presupponendo che gli altri abbiano una concezione “diversa” da quella “democratica” della Giustizia e che solo la loro interpretazione dell’ordinamento giudiziario risponda alla caratteristica peculiare del nostro sistema politico-istituzionale. D’altro canto, non si può non ricordare, in questa sede, come Magistratura democratica – nata a Bologna nel 1964 – sia, oggi, però, l’erede di quella parte dell’associazione rimasta sotto questa sigla dopo che, nel 1969, Rodolfo Beria di Argentine e gran parte degli aderenti ne denunciarono l’eccessiva politicizzazione e la pericolosa vicinanza all’estrema sinistra. Una politicizzazione sviluppata negli anni in cui la Sinistra italiana denunciava come “fascista” gran parte dell’ordine giudiziario e in cui la considerazione per i magistrati era ben espressa da applauditissime canzoni come “Signor giudice” di Roberto Vecchioni o “Il gorilla” di Fabrizio De André. L’invito di Morrone, allora, chiaramente finalizzato a rimettere l’accento sulla dimensione della “imparzialità” del magistrato, anche quando deve organizzare la sua rappresentanza sindacale nell’organo di autogoverno, più che “scandalosamente”, dovrebbe essere salutata con soddisfazione da parte di tutti.

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