Terremoto, basta un orto per far rinascere la comunità

5 Set 2018 17:06 - di Sabrina Fantauzzi

Riceviamo da Sabrina Fantauzzi e volentieri pubblichiamo

Caro direttore,

Nonna Peppina, rientrata nella sua casa provvisoria, potrà finalmente ricominciare a occuparsi del suo orto. La cura migliore per superare il trauma del terremoto, è  consentire a queste persone di poter recuperare, seppur surrettiziamente, le abitudini di una volta: governare gli animali, occuparsi dell’orto, riunirsi al bar per una briscola.

La mancanza di queste tappe quotidiane che scandiscono la vita della popolazione anziana del cratere è la ragione principale dello spaesamento nel quale questa gente  è costretta a vivere, uno spaesamento  che genera malattie e disagi psicologici tali da indurre anche alla depressione e al  suicidio, come è accaduto per l’ennesima volta nei giorni scorsi in una frazione di Tolentino.

L’uomo, 81enne, era proprietario di  80 mucche riparate  nel suo capannone giudicato inagibile. L’impossibilità di dare un rifugio stabile e sicuro alle sue bestie lo aveva prostrato al punto di ammalarsi di depressione, come aveva certificato il medico. L’altra mattina, dopo aver dato da mangiare ai bovini, si è tolto la vita impiccandosi. Ed è il tredicesimo suicidio post sisma.

Di fronte al dilagare di disturbi da shock post traumatico, nessuna task force al livello capillare è stata organizzata. E’ senz’altro vero che questa è  gente che non ammetterà mai di aver bisogno di assistenza psicologica, ma basta ascoltarla e guardarla negli occhi  per capire che un sostegno è necessario.  Si può fare  anche  senza seguire le classiche procedure di consultazioni ma inventandone di nuove. Un anziano non andrà mai nella casetta dello psicologo. Ma se si organizzano continuativamente iniziative ludico-ricreative che promuovono la socializzazione e la ricucitura della comunità si ottengono gli stessi risultati senza cura psicologica o psichiatrica comunemente intesa.

In una video intervista dell’Ansa, Mario, ora residente nella new town di Accumoli, sente la mancanza del suo paese, “che- dice – non  avrei scambiato neppure con New York. Bastava che mettessero qui un bar per giocare a briscola o due botteghe per fare la spesa, e avremmo ricominciato a  vivere”.  Per gli acquisti  bisogna andare sulla Salaria dove è stato costruito un altro non luogo, il centro commerciale. Gli anziani  senza macchina sono costretti ad affidarsi ad altri per fare la spesa. E anche questo purtroppo conta sul peggioramento dello stato di salute fisica, psicologica ed emotiva.

Tra coloro che abitano nelle Sae (soluzioni abitative in emergenza), aumenta l’uso di medicinali. Il progressivo peggioramento dello stato di salute non riguarda soltanto le popolazioni del cratere, ma anche i proprietari di seconde case. Solo a Illica in questa lunghissima fase post emergenza, c’è chi si è ammalato di ‘nostalgia’, torna ma non sa dove stare, dove fermarsi, dove mangiare e dormire. In alcuni Comuni  sono sorti villaggi temporanei per ospitare i proprietari di seconde case, ma molto dipende dai sindaci, da quanto cioè sono disposti a chiudere un occhio rispetto a quello che viene, in tempi normali,  giudicato abusivismo  edilizio.  C’è chi invece non ha proprio retto al trauma. Sempre a Illica, in questo ultimo anno e mezzo sono morte oltre una decina di persone, molto di più rispetto agli anni passati:  donne e uomini fiaccati dal trauma del terremoto e dal dal dolore di non poter tornare nel paese natale e poter curare l’orto. Quei pochi metri quadrati di frutta e verdura a chilometro zero che curano meglio di uno psicofarmaco.

Commenti

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  • Adriana 11 Settembre 2018

    Hai ragione in tutto Sabrina ,io sono nata ad Accumoli mio marito a Tino ,lo sai quante volte ho visto mio marito seduto sulla sponda del letto con le mani tra i capelli e disperarsi per non poter tornare su .Non so se è stato capito che noi abbiamo la necessità di tornare lassù e respirare la nostra aria e seminare i nostri orti …è rinascere e avere un po’ di speranza.