È andato in onda su Rai 3, durante la trasmissione Agorà, un triste e scandaloso siparietto da parte di un tale Gian Luca Brambilla, imprenditore lombardo, ai danni, tanto per cambiare, del popolo napoletano. Il succo del ragionamento dell’uomo è stato che siccome a Milano e al Nord i biglietti vengono pagati, è giusto che si abbiano treni all’avanguardia, mentre, dato che a Napoli e al Sud, secondo quanto da lui sostenuto, non li paghiamo, ci meritiamo mezzi fatiscenti e da “Terzo mondo”. Prima di essere bloccato dalla conduttrice e dai malumori che anche in studio iniziavano a montare, l’imprenditore ha concluso, mettendosi le mani alle tempia, con uno squallido “perché i napoletani sono antropologicamente predisposti a non pagare il biglietto”. Capite? Per costui, a Napoli, per “antropologia”, si è inclini a comportamenti illegali… roba da far accapponare la pelle pure a Lombroso, con le sue teorie!
Ma non è la prima volta che questo Brambilla in tv esprime opinioni offensive verso i meridionali. Facendo una ricerca sul web, infatti, è possibile reperire una serie di video che riportano i suoi interventi a “L’aria che tira”, programma in onda al mattino su La 7. Ebbene, in questi contributi emerge, praticamente, la fiera del razzismo e dei luoghi comuni sul Mezzogiorno; parliamo delle tipiche insinuazioni del genere che al Sud non si ha la cultura del lavoro oppure dei meridionali che sono piagnoni, si lamentano di non avere risorse mentre, in realtà, le sprecano e quindi, testuali parole, “avrebbero bisogno di un po’ di pragmatismo nordista”.
Ovviamente, il soggetto in questione ignora o, più probabilmente, omette intenzionalmente ed in malafede, che la situazione di fatto nel Meridione è frutto di dinamiche storiche molto più complesse, ovvero di un disavanzo economico ed industriale rispetto al Nord che, a partire dal 1861 – come ci insegnano storici di rinomata preparazione – è stato voluto. In buona sostanza, serviva una sorta di colonia interna da spolpare, una colonia che oltre al danno, come è evidente, continua ad essere beffata, con le solite accuse di pigrizia e di connivenza con la criminalità, magari, paradossalmente, proferite pure dal pulpito di chi ha truffato 49 milioni di euro allo Stato.
Tuttavia, a dir la verità, le parole del brianzolo non ci meravigliano affatto in quanto, da decenni, siamo abituati a questa tipologia di insulti. Del resto, non si può dimenticare che è proprio sui “senti che puzza stanno arrivando i napoletani” e sui “Vesuvio lavali col fuoco”, cantati ai raduni di Pontida, che è nato un movimento politico espressamente anti-meridionalista e funzionale ai ricchi industriali settentrionali, chiamato, appunto, Lega Nord. Ciò che ci sorprende e, al tempo stesso, ci amareggia è, invece, il fatto che negli ultimissimi tempi sia bastato togliere la parola Nord dal logo della Lega per far credere, a tanti meridionali, che le stesse persone, come il Brambilla, che li hanno sfottuti per anni possano, ora, agire pure nei loro interessi. È stato sufficiente, per i vertici di quel partito, passare dai terroni agli immigrati, nella retorica delle discriminazione e del disprezzo, per dare ai padani una veste di eroi nazionali.
Lo sportello “Difendi la città”, istituto dal Comune di Napoli al fine di contrastare le offese e le ingiurie che piovono sul popolo partenopeo, ha prontamente segnalato l’episodio all’Avvocatura comunale in modo da comprendere le azioni legali che possono essere intraprese su tale questione. È giusto, infatti, che si reagisca, ma, al di là di ciò, quello che sempre con maggiore impellenza risulta ormai assolutamente necessario è che si torni a parlare, in maniera ancor più veemente, di meridionalismo e che si inizi a fare fronte unico, non contro qualcuno ma semplicemente per noi stessi. Non possiamo permetterci, ancora una volta nella Storia, di essere ingannati da chi ci dice di scendere e discendere dalla civiltà per salvarci; dimostriamo, piuttosto, di essere capaci di risollevarci con le nostre forze. Non abbiamo bisogno delle loro lezioni e del loro moralismo ipocrita.