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Politica | 08 marzo 2018, 11:16

Vicenda Christian Greco - Giorgia Meloni: dottrina e storia mettono in crisi la posizione del Direttore del Museo Egizio. L'approfondimento

Dopo il periodo elettorale torniamo sull'argomento, non avendo voluto prestare il fianco ad una querelle che era diventata troppo 'politica'

Vicenda Christian Greco - Giorgia Meloni: dottrina e storia mettono in crisi la posizione del Direttore del Museo Egizio. L'approfondimento

La bufera delle polemiche di Giorgia Meloni nei confronti del direttore del Museo Egizio, Christian Greco, è ormai passata da alcune settimane, forse addirittura dimenticata. Vivendo in Inghilterra, è tuttavia giunta a me solo ora, probabilmente portata dalla bufera vera, quella della Siberia, che ha messo a dura prova i servizi pubblici locali. Dopo aver guardato il video di Torinoggi sul diverbio tra il leader di Fratelli d’Italia e Greco, non ho potuto trattenermi dal commentare su questa “scelta di marketing” del Museo, dato il contesto delle elezioni nazionali ed il mio amore per la storia antica del Medio Oriente.

Come attesta il sito del Museo Egizio, si offriranno sconti sui biglietti d’ingresso ai “cittadini di lingua araba”. Ora, nella mia mente questa espressione ha molteplici significati che sono però tutti da scartare dopo un’attenta analisi etnografica del mondo arabo. Se il direttore si riferisce a tutti coloro che annoverano l’arabo come lingua madre, vuol dire che, potenzialmente, dal Marocco all’Oman con in più la diaspora araba in tutto il mondo - compresa l’Italia - si risparmierà per visitare il Museo Egizio. Tuttavia, se lo scopo di questa promozione è quello di far conoscere agli Egiziani arabi le loro origini e il loro patrimonio, cosa hanno a che fare i Siriani, ad esempio, con la statua di Ramesse II?

Può darsi che Greco intendesse invece  “tutti i cittadini di paesi la cui lingua (cultura ed etnia) ufficiale è araba”. A quel punto, però, è facile capire come questo ragionamento sia errato, perché presume che la lingua madre (ed etnia) di tutti costoro sia effettivamente l’arabo. Oltre a rappresentare, a mio parere, un errore troppo grave per il direttore di un museo di archeologia così famoso, ciò arrecherebbe anche una grande offesa alle comunità non-arabe del Medio Oriente, afflitte da espropriazioni, persecuzioni, genocidi e disinteresse da parte del mondo intero dalle conquiste arabe del VII secolo fino ai giorni nostri. Proprio per interrompere questa negligenza da parte di noi occidentali e dei libri di storia nelle nostre scuole, sono obbligato a citare, fra gli altri, i Berberi del Nord Africa, i Maroniti del Libano, i Kurdi, gli Assiri nel nord della Siria ed Iraq ed infine, come Greco stesso ha menzionato, i Copti d’Egitto. In particolare, la maggioranza dei Kurdi e degli Assiri non comprende nemmeno l’arabo. La lingua madre degli Assiri, popolo dimenticato perfino dagli storici (a quanto pare), senza nazione, che ha sopravissuto secoli di persecuzione (anche dall’odierno ISIS), è l’aramaico, la parlata di Gesù di Nazareth. Il ruolo della legge islamica detta Shari’a, che di fatto legalizzava il razzismo e la discriminazione religiosa, fu decisivo nel declino demografico e culturale delle popolazioni non-arabe, come scrisse l’autrice anglo-egiziana Bat Ye’or nel suo libro Il declino della Cristianità sotto l’Islam dopo essere stata esiliata dall’Egitto con la sua famiglia negli anni ‘50 per via delle sue origini ebraiche.

È chiaro dunque che i “15 milioni di Copti” di cui Greco parla, sebbene il governo semi-teocratico d’Egitto stimi che ce ne siano solo 5 milioni (probabilmente per minimizzare l’importanza della comunità cristiana del paese), non sono arabi. Essi si considerano i discendenti degli antichi Egizi e dell’ ellenico Regno dei Tolomei. La lingua e cultura araba furono imposte su di loro con la sconfitta dell’Impero Romano d’Oriente nel 640 sotto l’imperatore Eraclio. Divennero “dhimmi”, ovvero cittadini di seconda classe sotto la legge islamica, e dovettero inoltre pagare una tassa per rimanere cristiani, la jizya (abolita solo nel XIX secolo); a causa di abusi e svantaggi economici, molti Copti decisero di convertirsi ed “arabizzarsi”, mentre donne venivano rapite per essere sposate da immigrati arabi, pratica che sembra ancora diffusa in Egitto come ha denunciato il Congresso americano nel 2010. L’uso della lingua copta fu scoraggiato dal califfato, e così oggi sopravvive solo in remote comunità rurali e nella liturgia ortodossa. Tuttavia, i Copti sono riusciti a mantenere un’identità forte e separata, come racconta il vescovo Tommaso di Cusae e Meir in un avvincente discorso allo Hudson Institute nel 2008, molto apprezzato dalla sua comunità:

“Se approcci una persona copta dicendole che è un ‘arabo, è offensivo. Non siamo arabi, siamo egiziani. [...] Oggi, se guardi un copto, non vedi solo un cristiano, ma un egiziano che sta lottando contro un’identità ‘importata’ per mantenere la sua. [...] A scuola non è permesso imparare la lingua copta, la lingua natia della nostra terra. Perchè? Perchè andrebbe contro il processo di arabizzazione. [...] La chiesa [orientale ortodossa] ha ora la responsabilità di conservarla finché i tempi saranno maturi e potrà essere riaperta a tutti gli Egiziani.”

Siccome Greco ha usato i Copti per difendersi dall’accusa di “discriminazione religiosa” di Meloni (anche se i Copti sono un’etnia, non una religione), non capisco perché essi debbano ora usare la loro conoscenza della “lingua araba”, un idioma straniero imposto, per avere diritto a questi sconti per accedere ad un patrimonio culturale di cui loro sono i legittimi eredi, più di qualunque altro al mondo. Il direttore avrebbe potuto evitare queste incongruenze e controversie estendendo questa promozione precisamente ai “cittadini della Repubblica d’Egitto”, senza evidenziare la cultura o la razza dei beneficiari come purtroppo nel mondo d’oggi troppo spesso accade, soprattutto alla luce del fatto che la cultura araba non ha niente a che fare con quella egiziana.

Sembra, inoltre, che secondo il signor Greco l’origine di questa concessione sia la gratitudine dell’Italia nei confronti degli Egiziani e del loro Stato per non aver fatto il “motivo di restituzione” dei reperti visto che “la collezione è del Cairo”. Quest’affermazione mi ha molto sorpreso, così ho deciso di andare a “scavare” nella burocrazia. Sul sito del Museo c’è scritto che nell’epoca della Missione Archeologica Italiana (1900-1935), “vigeva il criterio secondo cui i reperti archeologici erano ripartiti fra l’Egitto e le missioni”, mentre oggigiorno i ritrovamenti devono rimanere nel paese. Siccome il museo fu fondato nel XVIII secolo, vuol dire che nel corso di duecento anni le collezioni giunte in Italia divenivano proprietà del nostro paese de jure, finché una legge - molto probabilmente dopo la fine del protettorato britannico nel 1954 - decretò la fine delle spartizioni dei reperti. Ed infatti, nel 1983, la Repubblica d’Egitto promulgò la legge LPA (Law on the Protection of Antiquities), i cui articoli 6 ed 8 chiarificano:

“Tutti i reperti sono severamente controllati e considerati proprietà dello stato [...] ad eccezione di quei reperti la cui proprietà o il cui possesso era già stato stabilito al momento dell’entrata in vigore di questa legge.”

Ciò smentisce la retroattività di questa legge, nonostante il fatto che il governo egiziano non ne avrebbe comunque avuto il potere legale perché non esisteva un’entità statale egiziana durante la Missione. Pertanto, l’asserzione del direttore non è accurata, ma valida solo per collezioni portate in Italia (e nel resto del mondo) dal 1983 in poi.

Esistono anche casi simili, che possono essere considerati importanti  “precedenti”: la reliquia di San Nicola fu presa da Myra, un’antica città greca in Anatolia dove il vescovo santo era stato sepolto nel IV secolo, e portata a Bari nel 1087 da marinai per via dell’imminente invasione turca. Nel 2013, il ministro della cultura turco ha chiesto ufficialmente al governo italiano ed al Vaticano di ridare la reliquia alla Turchia per “metterla in un museo”, ma è ovvio che Babbo Natale non andrà da nessuna parte (anche perché i legittimi proprietari sarebbero i Greci, che da decenni ormai non vivono più nel paese). Come è anche ovvio che i Francesi non ci riconsegneranno mai tutte le opere che Napoleone ha trafugato dall’Italia. Quindi, è vero che il primo ministro egiziano possa emettere una richiesta formale di restituzione, ma l’Italia non ha un dovere legale di onorarla: non credo che il Papa abbia piacere che il suo obelisco in Piazza San Pietro, giunto a Roma in epoca romana, gli sia portato via.

Mi è anche venuto il dubbio che la promozione potesse anche riferirsi ai “cittadini italiani di lingua araba”, che però ci riporta ai dilemmi già discussi, perché non tutti gli Arabi sono egiziani e non tutti gli Egiziani sono arabi. Siccome il direttore ha negato l’accusa di discriminazione etnica, mi chiedo se un italiano che impara bene l’arabo all’università avrà diritto agli sconti. Ciò significherebbe anche che l’iniziativa non é volta alla promozione del turismo internazionale per il museo, né ad un “ponte diplomatico” con l’Egitto, bensì probabilmente ad “un’apertura alla cultura araba”. Come questo abbia a che fare con il Museo Egizio rimane per me un mistero, ma secondo Greco è come quando petizioni razziste contro gli Italiani venivano lette nel congresso americano e si aprì una mostra sulle opere di Leonardo Da Vinci per contrastare i pregiudizi. Tuttavia, non solo gli Arabi storicamente non hanno nulla a che fare con l’antico Egitto, ma sono anche ancora in attesa di vedere politici proporre leggi razziali nel parlamento italiano o di subire attacchi violenti - di cui invece proprio loro sono colpevoli di aver perpetrato contro i Copti anche nei giorni nostri.

L’emblema della cultura islamica, la hijab, cioè il velo sulla donna, non poteva mancare nella pubblicità di questa promozione. È chiaro che chiunque abbia ideato quella grafica non abbia mai letto il Corano e la Sunna da cui originano il motivo e il significato di questo velo, perché se l’avesse fatto, avrebbe capito che questa pratica non è compatibile con la cultura del nostro paese. Di certo, questi “nuovi italiani” (come li definisce il sito del museo) dovranno un giorno o l’altro adottare più o meno il nostro modo di vivere per mantenere la coesione sociale del nostro paese. Quest’ultima non è a parere mio valorizzata dall’iniziativa di Greco, tanto meno in un contesto sociale in cui un sondaggio di IPR Marketing indica che un terzo dei musulmani non vuole integrarsi. Non sono dell’opinione che normalizzare l’uso della lingua araba sia d’aiuto. Se il museo “appartiene a tutti”, non vedo perché sia necessario fare distinzioni: sono certo che i “nuovi italiani” sapranno istruirsi sui reperti egiziani nonostante se ne parli nella loro nuova lingua, l’italiano; è sufficiente che ne nutrano interesse.

Sullo sfondo della controversia causata inutilmente da questa promozione del Museo Egizio, i cui beneficiari non è chiaro chi siano né per quale ragione, e che può rivelarsi “offensiva” (nelle parole del vescovo Tommaso), incombe un problema molto più grande per tutta l’Europa. Gli Americani nutrivano pregiudizi nei nostri confronti anche per colpa della mafia che il nostro paese ha purtroppo esportato nel Nuovo Continente tra famiglie di brava gente in cerca di una vita migliore; l’hanno però combattuta fino, di fatto, alla sua sconfitta. Come possiamo noi chiudere un occhio ad un’ideologia che promuove violenza, misoginia, omofobia e discriminazione religiosa nelle proprie scritture, solo perché i suoi sostenitori credono che venga da Dio? Il popolo italiano ha dinanzi a sé una scelta molto importante, che potrebbe avere ripercussioni anche per secoli sul futuro del nostro paese. Per questo, invito ad informarsi su quelle parti di storia mediorientale cancellate di proposito e sui valori che le contraddistinsero (e che sono ancora condivisi in alcune parti del mondo). Solo così, con un’opinione istruita ed inattaccabile, guidata da ragione e verità, si può prendere la decisione giusta, anche alle urne, senza rimorsi e ripensamenti. La libertà di scelta è un privilegio enorme e sacrosanto che ci è stato donato, di cui i Copti, fra gli altri, non hanno potuto usufruire.

 

Nicola Gambaro

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