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domenica, 28 Aprile 2024

I primi cinema di Trieste, tra “cassette magiche”, cosmorami e il Politeama Rossetti

16.06.2018 – 10.12 – Il cinema in 3 dimensioni non ha mai goduto il successo con il quale era stato annunciato nei primi anni del duemila, in seguito al fortunato incasso del film “Avatar” di Cameron. Al di là dell’interesse o meno degli spettatori verso la nuova tecnologia, andrebbe considerato come Avatar fosse stato acclamato dalla critica e dal pubblico inizialmente come film avvincente e ben girato e solo in secondo luogo per l’utilizzo degli occhiali 3D, che tuttavia si limitavano a conferire un ulteriore fascino al blockbuster fantascientifico. Sebbene la trama risultasse estremamente generica, il film funzionava sulla base della recitazione dei personaggi e dell’abilità registica di Cameron, non per il solo e esclusivo utilizzo della tridimensionalità su schermo. Al contrario, i film che si susseguirono negli anni a venire, ponevano la tridimensionalità dell’effetto speciale alla base dell’intero film, senza preoccuparsi di elaborare una buona sceneggiatura, una recitazione convincente e una regia originale. Si era scambiato quant’era con Cameron uno strumento tecnologico al servizio di un grande film come il segreto del successo, l’unica ragione per aver sbancato i botteghini; di conseguenza ci si adoperava con effetti sempre più grossolani, sempre più rivolti all’assoluta sorpresa dello spettatore, come in uno spettacolo da baraccone, degno di un circo.

Il recente caso della tecnologia 3D può essere applicato proficuamente agli esordi dell’industria cinematografica e relativamente al Friuli Venezia Giulia, alla diffusione dei primi cinematografi triestini, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Le proiezioni infatti si limitavano a mostrare alcune scene, costruendo al più una storia di pochi fotogrammi, prima di passare a un’altra scena e un’altra ancora, dalla locomotiva lanciata verso gli spettatori, alle riprese cittadine, alle brevi gag comiche. Era ancora un’industria ai suoi esordi, più che bambina, infante, dove la visione della pellicola era paragonabile agli spettacoli di un circo itinerante, una curiosità giunta dal mondo della scienza. Si stava appena affermando l’idea che il mezzo cinematografico potesse durare qualcosa di più che pochi minuti e andare oltre alla semplice ripresa di scene di vita o gag volgari. La cinepresa veniva ancora scambiata per un fine in sé stesso, un “mostrare” la nuova tecnologia, contrapposta invece all’essere un mezzo per raccontare una storia coerente in sé stessa. Pur in queste condizioni, si ebbero, a partire dall’estate del 1896, le prime proiezioni cinematografiche nell’atrio della “Fenice” e due anni dopo al “Politeama”.

Non si trattava per i cittadini di Trieste di una novità così strabiliante. Il Viale aveva da sempre ospitato un vasto insieme di cosmorami, diorami e “cassette magiche” collocate nei tendoni delle fiere o proposte dagli ambulanti. Le famose “cassettine” presentavano un “visore” sotto i cui occhi scorrevano una serie di fotografie, messe in moto nel momento in cui si inseriva una monetina nell’apposita fessura. Animali selvaggi dall’Africa coloniale, elefanti e fachiri dall’India britannica, fantasmagoriche visioni di Parigi, di Berlino, di Londra, della giovane America… E’ difficile immaginare quale effetto potessero avere queste semplici fotografie per un bambino o un cittadino che non avesse mai avuto modo di viaggiare fuori dall’Impero. Per i più maliziosi, le cassette magiche svelavano le fotografie delle ultime dive del ballo e del teatro, solitamente dalla Francia. Il metodoPlateau”, verso il 1830, aveva già introdotto una prima forma di movimento, nella fattispecie 12 immagini poste in rapida sequenza su un disco, che generava così un senso di dinamismo nell’immagine. Il sistema venne poi reso celebre con il “kinetoscopio” di Edison.

Il primo a introdurre il cinema a Trieste, dopo gli spettacoli a teatro, fu un pugliese, Salvatore Spina, che fondò il Reale Cinematografo Gigante e viene ricordato come un notevole operatore alla macchina da presa, un autentico pioniere di questa giovane arte. Lo spettacolo, dal costo di quaranta soldi, contava dodici brevissimi filmati, dalla lunghezza tra i venti e i quaranta metri, della durata complessiva di appena un quarto d’ora. Il fragile materiale spesso si usurava e rischiava di prendere fuoco passando davanti alla fonte luminosa; quando si arrivava ad appena quindici metri disponibili, un corriere era già pronto per partire alla volta di Vienna, onde acquistare altro prezioso materiale.

Verso il 1905, Spina aveva ormai all’attivo un vero e proprio cinema ambulante, che faceva sosta nelle diverse città della regione, presentando i primi giorni spettacoli morali, documentari e storie di avventura, mentre negli ultimi giorni, alle ore tarde, filmati per “soli uomini”.

Ne lascia un divertente ritratto il giornale L’Eco del Litorale (16 ottobre 1905), che lamenta come “Fino a venerdì il cinematografo aveva dato produzioni morali e quindi l’avevamo raccomandato. Ma poi venne fuori con tale bruttura che anche i meno delicati ne furono stomacati. Noi denunziamo come indegno un tal modo di passare i limiti dell’onestà per il richiamo del pubblico”.

Un’indignazione difficilmente convidisa dalla maggioranza della popolazione, a giudicare dagli incassi di Spina, che proseguirà la sua attività fino alle soglie della Grande Guerra. L’Eco del Litorale accenna al programma proposto, dove comparivano le prime forme di fantascienza alla Jules Verne, nella forma dei viaggi straordinari. Generalmente, però, predomina un’indignazione morale: “Desinit in piscem. Bisogna proprio applicare questo detto latino al Cinematografo Spina, dove si cominciò tutto bellamente e con tanta correttezza che alle proiezioni potevasi assistere chiunque. Invece nelle ultime rappresentazioni ci furono delle porcherie.”

Folla che esce dal Politeama Rossetti dopo il comizio pro Università italiana (25 marzo 1899), Fototeca dei Civici musei di storia ed arte

Il momento di “popolarità” di Salvatore Spina rifletteva un graduale allargamento del mezzo cinematografico, presentato come curiosità scientifica nei salotti e nei club verso la fine degli anni Ottanta dell’Ottocento e in seguito trasposto come “meraviglianei circhi e nelle fiere, prima di arrivare finalmente a Teatro, nel caso di Trieste, al Politeama Rossetti, modernissimo e come tale singolarmente adatto a questa novità tecnologica. Oltre al disprezzo dei gestori dei Teatri verso il nuovo “mezzo” cinematografico, la proiezione avveniva ancora nel foyer o nel corridoio, mentre il resto del Teatro paradossalmente fungeva da circolo e sala d’attesa. Lo spettatore pertanto discuteva quanto visto nel foyer con altri colleghi, a volte scegliendo di tornare per una seconda visione nell’arco della stessa sera. Verso il 1904 e il 1905, il Politeama Rossetti finalmente concedeva di usare le sale principali per gli spettacoli di cinema, stavolta estesi a diverse ore, con un notevole successo di pubblico. Elena Mosconi, nel saggio “L’impressione del film: contributi per una storia culturale del cinema” trascrive una pubblicità a questo proposito del 1906, straordinaria testimonianza del successo dei cinema a Trieste:

Il Politeama Rossetti è il più vasto teatro di Trieste, avendo una capienza di 3000 persone e nel medesimo non si danno che spettacoli di grande importanza. Nel corso delle rappresentazioni dell’American Bioscope, la ressa del pubblico fu tale, che ripetutamente si dovettero (…) rimandare centinaia di persone. La musica delle cinematografie (…) è eseguita splendidamente da una orchestra di 30 distinti professori del Teatro Comunale Verdi e questo fatto vale a dare un indirizzo maggiormente artistico alle rappresentazioni – sempre applauditissime – dell’American Bioscope, giudicato unanimemente il solo Cinematografo degno di agire nei grandi teatri. L’American Bioscope cambia tutte le sere il suo Programma, che dura 2 ore e dispone di un indovinatissimo réclame di propria produzione.

Intanto a Trieste il successo di queste prime iniziative permise l’apertura di una sala di proiezione, in Via S. Caterina, dal costo di venti soldi, spesso soggetta a contrattazioni dagli spettatori, che lamentavano immagini poco nitide, tali da generare “emicrania” e “lacrime”. La durata dei film era ormai passata dal quarto d’ora iniziale a una mezz’ora abbondante, accompagnata, per ravvivare il cinema muto, dal sottofondo di un pianista all’opera o direttamente di un autopiano. Venne poi inaugurato un nuovo locale presso i Portici di Chiozza e due nuove sale cinematografiche qualche anno dopo, completamente attrezzate con i nuovi apparecchi e pellicole sempre più lunghe: erano i cinePerù” e il “Lumière”.

Fu un tedesco, il signor Boecher, a portare a Trieste il primo grande cinematografo, simile alle sale da cinema come oggi li intendiamo, con il “Cinematografo Americano” (Piazza della Borsa, 1). Resistette invece a lungo, nella stessa piazza, l’anacronistico “Panorama”, erede delle cassette magiche in Viale, dove si poteva ammirare ventiquattro “vedute”, proiettate da un cilindro girevole, dove a ogni fotografia corrispondeva uno scampanellio. Dopo il Boecher, spettò invece a Spina fondare il secondo grande “cinematografo” di Trieste, nello stesso luogo dove sopravvive il “Nazionale”, oggigiorno assediato dalla concorrenza di Netflix e dei Multiplex e purtroppo trasformatosi nell’equivalente delle “cassette magiche” di fine ottocento.

Zeno Saracino
Zeno Saracinohttps://www.triesteallnews.it
Giornalista pubblicista. Blog personale: https://zenosaracino.blogspot.com/

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