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Cultura - Stefano Scatena, psicologo e psicoterapeuta viterbese, racconta il suo viaggio in Israele e Cisgiordania

“La democrazia non va data per scontata”

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Cultura - Il viaggio di Stefano Scatena in Israele e Cisgiordania

Cultura – Il viaggio di Stefano Scatena in Israele e Cisgiordania

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Cultura – Il viaggio di Stefano Scatena in Israele e Cisgiordania

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Cultura – Il viaggio di Stefano Scatena in Israele e Cisgiordania

Cultura - Il viaggio di Stefano Scatena in Israele e Cisgiordania

Cultura – Il viaggio di Stefano Scatena in Israele e Cisgiordania

Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo – In questi giorni di abbondanti nevicate abbiamo tutti noi avuto a che fare con piccole e grandi ingiustizie, inefficienze e giustificazioni.

La mia impressione da psicoterapeuta è che gli italiani siano un popolo creativo, intelligente ma anche lamentoso. Dipenderà dalla cultura delle nostre mamme?

C’è un modo di comprendere i problemi molto infantile. Alcune cose sono difficili di per sé. Ho voluto capire meglio, e quindi sono partito per un nuovo viaggio con il mio collega (ma soprattutto amico) Romeo Lippi per Israele.

La questione israeliana, ci siamo accorti, è fumosa per la gran parte degli italiani. Pochi sanno cosa succeda davvero nella culla delle tre principali religioni monoteiste: l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam.

Siamo partiti per Tel Aviv con un biglietto aereo a quaranta euro, siamo entrati in modalità psicologi e siamo andati ad analizzare la situazione Israelo-palestinese in un’ottica fenomenologica. Osserviamo, ci siamo detti, studiamo, e cerchiamo di capire.

Dunque: un tempo in Israele, un tempo molto molto lontano, abitavano gli ebrei. Poi seguirono varie diaspore. Dopo la seconda guerra mondiale, ci fu un’emigrazione di massa nella terra di Palestina, la terra dei loro antichissimi avi. Lo stato d’Israele venne proclamato dal leader David Ben Gurion il 14 maggio 1948 ed è ufficialmente entrato in essere il 15, quando, alla mezzanotte, terminò il precedente mandato Britannico.

Da allora il popolo palestinese fu praticamente cacciato via dalla propria terra, dove abitava da generazioni e generazioni. Ora vive principalmente in due territori controllati militarmente dalla potente Israele, spalleggiata dagli Stati Uniti: la striscia di Gaza e la Cisgiordania.

Dopo aver visitato la modernissima Tel Aviv (in Israele) siamo partiti per Gerusalemme, e visitato i famosi luoghi sacri delle tre religioni monoteiste: il muro del pianto, principale luogo sacro dell’ebraismo, la basilica del Santo Sepolcro dove tradizionalmente si ritiene sia stato crocifisso Gesù Cristo e conservato il suo corpo mortale, e la più antica moschea del mondo, La Cupola della Roccia, che sovrasta e domina la spianata dove una volta c’era il tempio di Re Salomone, sacra per gli islamici.

All’orto del Getsemani, dove predicava un tempo il profeta Gesù, abbiamo conosciuto Mahmud, palestinese con passaporto israeliano. L’abbiamo convinto a portarci in Cisgiordania, sul territorio occupato.

Durante il viaggio il pacifico Mahmud ci ha aperto gli occhi sulla realtà del suo popolo. Anche nei territori lasciati ai palestinesi gli israeliani arrivano sulle loro terre, costruiscono un muro di cemento armato alto nove metri, militarizzano la zona e vi costruiscono quartieri grandi come Viterbo nei quali vivono (ovviamente sotto assedio) essendo i palestinesi arrabbiati e delusi nel vedere quella che considerano la loro terra occupata da un popolo diverso dalle loro consuetudini più forte militarmente.

Sono i famigerati “settlements”. La loro vista, per empatia con Mahmud, mi ha catapultato in un orrendo vissuto di impotenza e di ingiustizia. Pensate che ai palestinesi è permesso passare da una città all’altra solo attraverso una strada. Come se noi viterbesi potessimo andare a Roma solo passando dalla via Cimina. E non solo: Ci sono dei checkpoint di controllo militare israeliano che producono delle code leggendarie (che ci siamo sorbiti) e che ovviamente i palestinesi vivono come l’ennesimo sgarbo e con frustrazione.

“Era meglio durante quale presidenza degli Stati Uniti?” ho chiesto a Mahmud uscendo da Betlemme. “La situazione ha avuto un miglioramento durante la presidenza Clinton e poi durante Obama”.

All’epoca si parlava di fondare almeno uno stato autonomo di Palestina. “Oggi con Trump la situazione volge al peggio: il 14 maggio, anniversario della nascita di Israele, verrà definitivamente insediata l’ambasciata Statunitense a Gerusalemme da Tel Aviv, e certamente non lo lasceremo fare. Vogliono forse gli israeliani prendersi anche Gerusalemme Est?”.

Sotto la porta di Damasco, al nostro ritorno, la vita occidentale continuava tra ragazze in minigonna, ragazzi con le Nike che sorseggiavano vino, e gli immancabili e numerosi militari israeliani giovanissimi con i mitra a tracolla.

“Anche loro, gli ebrei, difendono quella che da qualche generazione è ormai la loro terra” ho pensato. Potrà mai esserci convivenza in quella terra meravigliosa? Riuscirà la Palestina ad avere il suo Stato? Chi ha ragione e chi ha torto?

Siamo tornati appena in tempo prima della neve, ringraziando i nostri avi di averci donato la pace e la democrazia, rendendoci conto che non vada data per scontata.

Stefano Scatena
Psicologo e psicoterapeuta


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5 marzo, 2018

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