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Caffeina - Eugenio Murrali, autore del testo Lontananze perdute, recupera un pezzo fondamentale della biografia della grande scrittrice

La sicilia di Dacia Maraini tra poeti, scrittori e mafia

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Caffeina - Dacia Maraini

Caffeina – Dacia Maraini

Viterbo - Dacia Maraini alla Galleria del teatro Caffeina

Viterbo – Dacia Maraini alla Galleria del teatro Caffeina

Viterbo - Dacia Maraini alla Galleria del teatro Caffeina

Viterbo – Dacia Maraini alla Galleria del teatro Caffeina

Viterbo - Dacia Maraini alla Galleria del teatro Caffeina

Viterbo – Dacia Maraini alla Galleria del teatro Caffeina

Viterbo – Dacia Maraini si lascia raccontare attraverso le parole di Eugenio Murrali.

Non è Dacia Maraini l’autrice di Lontananze perdute, presentato giovedì nella galleria del teatro Caffeina. Non è l’autrice, ma è certamente la protagonista. Nell’ultimo libro di Eugenio Murrali Dacia Maraini è protagonista indiscussa assieme alla sua Sicilia. Una terra, la Sicilia, di cui la giornalista mette in risalto le più intime e fascinose contraddizioni.

“Me ne sono andata dalla Sicilia perché non sopportavo quel clima di spionaggio e circospezione che si sentiva nell’aria -spiega la Maraini-. Quegli occhi attraverso le finestre che ti osservavano. In quelle strade deserte. Ho avuto una educazione libera. Mio padre mi diceva che ero padrona di me stessa, libera di fare quel che volevo a patto che non fossero mai state cose delle quali mi sarei dovuta vergognare”.

Una fonte di ispirazione per il lavoro di Murrali, la scrittrice siciliana, in quanto erede di quella Sicilia che si legge nei romanzi dei grandi autori italiani, da Leonardo Sciacia a Vincenzo Consolo. Due scrittori che hanno raccontato la terra della Maraini con stili diversi. Con sguardi diversi. “Forse l’hanno raccontata – dice  Maraini – anche con intenti diversi, ma entrambi con lo stesso spirito intento a valorizzare l’identità di una terra unica nel suo genere”.

Maraini così ne parla alla presentazione del libro a lei dedicato: “Consolo era uno scrittore lirico alla Joyce. Credeva che tutto si risolvesse sulla base base del linguaggio. Sciascia era invece uno di quelli che prendono le cose più di petto. Intento all’azione e a creare quella tensione emotiva che è poi un vero e proprio impegno sociale quando diviene scrittura”.

Dacia Maraini ha sottolineato le profonde contraddizioni della sua terra d’origine. Per lei, ragazza e poi donna, era inconcepibile “vivere sotto i riflettori di spettegolezzi e sguardi indiscreti”. Era inconcepibile “sopportare quegli occhi intenti a fare la spia se ti baciavi con un ragazzo o, se pur semplicemente, tornavi da scuola sola assieme ad un compagno di classe”. Dacia Maraini, vissuta e crescita i primi anni della sua vita in Giappone, tornava all’età di appena otto anni nella sua Sicilia. Vi tornava da povera. Sua madre era di origini cilene, mentre suo padre di origine polacca. Suo nonno era stato abbandonato dalla moglie, una ballerina, che lo aveva lasciato per un altro uomo.

Quando la nonna tornò a casa il marito la riprese. Non la ripudiò pur appartenendo a quella Sicilia degli anni Trenta. L’aveva riaccolta in casa come nulla fosse successo. La riaccettò noncurante dell’abbandono subito e delle chiacchiere di paese. Dacia Maraini con questa cultura era cresciuta e, con la medesima cultura, concepiva il mondo che la circondava e la vita. Il conteso siciliano, però, era del tutto diverso. Accanto a ciò la Maraini spiega anche il problema della Mafia, da un lato osannandone i principi ispiratori, dall’altro condannandone le atrocità.

“Originariamente la Mafia si batté per la tutela del latifondo agricolo e per i diritti dei braccianti agricoli. Originariamente – spiega la Maraini –, non vi erano diritti per chi lavorava le terre. Prima che la Mafia divenisse corruzione e traffico illecito di stupefacenti e prostituzione, prima degli scandali sulla mondezza e gli appalti, la Mafia era una sorta di sindacato primordiale in cui venivano tutelati i diritti dei poveri lavoratori della terra. Un sistema di disciplina nella distribuzione delle terre e della ripartizione dei raccolti”.

Quasi al termine della presentazione, sollecitata dall’intervento di uno dei numerosi spettatori riunitisi, la Maraini ha toccato il tema contemporaneo dell’immigrazione. “Non è solo questione di tolleranza o accoglienza quando in gioco ci sta l’identità di un popolo”. Questo è per la Maraini il problema dell’immigrazione oggi. Lo dice da immigrata povera che dal Giappone, ad appena otto anni, tornava nella sua Italia. Lo dice da viaggiatrice e da girovaga. “La xenofobia non è la soluzione, l’integrazione e l’accettazione sono le sole soluzioni auspicabili”. Poi scrittrice spende qualche parola a favore di coloro che sono chiamati ad accettare il problema dell’immigrazione nella propria terra: “Non per questo, però, la xenofobia non deve essere capita. La paura del diverso è l’identità di un popolo messa in discussione dallo straniero. Quell’identità minacciata dal diverso che si affaccia alle nostre frontiere. Per poter integrare bisogna conoscere. Per poter conoscere bisogna comprendere e capire che una cultura può essere diversa rispetto alla nostra. Ci voglio anni. Ci vogliono generazioni”.

Alessandro Gatti

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2 luglio, 2018

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