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Viterbo - Lo spettacolo, martedì al teatro Caffeina - Tra i protagonisti anche la Banda del racconto

“Gli stessi sogni”, artisti e migranti insieme sul palco

di Antonello Ricci

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Antonello Ricci

Antonello Ricci

Luciano Orologi e Laura Antonini

Luciano Orologi e Laura Antonini

Viterbo – Martedì 11 dicembre alle 10 al teatro Caffeina in via Cavour va di scena in prima assoluta lo spettacolo “Gli stessi sogni. Migranti senza tempo”. Un’iniziativa targata Programma integra e realizzata nell’ambito del progetto Ipocad, regione Lazio ente capofila. Insieme con artisti e musicisti professionisti, insieme con giovani richiedenti e titolari di protezione internazionale ed ex beneficiari dei progetti gestiti da Programma integra, protagonista la Banda del racconto capitanata da Antonello Ricci.


Non so come giudicherete la mia sincerità. Ma su questa faccenda voglio essere schietto fino in fondo. Senza remore. Magari all’imbarazzo.

Quasi ogni mattina, all’uscita dal bar dove faccio colazione, c’è un giovane immigrato africano: mi chiama “capo” e puntualmente mi chiede l’elemosina. Avrà neanche vent’anni. A volte gli lascio qualche spicciolo. A volte no: sembrerà strano, ma anche gli spicci in certi giorni, di questi tempi, fanno la differenza.

Sto ultimando i preparativi per la mia narrazione, che servirà da “mossa” a questo spettacolo. Ecco, mi rendo conto di una cosa: che di quel ragazzo sfuggo spesso lo sguardo. La cosa mi inquieta. Sono uno che di solito fruga negli occhi di chi incontra. E allora mi chiedo: perché.

Sarà forse l’imbarazzo (ipocrita) dell’aver unilateralmente deciso di lasciarlo (per oggi) a mani vuote.

Sarà forse lo stupido (sebbene comprensibile, comprensibilissimo) senso di colpa per l’esser io nato qui, senza merito specifico, nella parte ricca del mondo (anche se poi, vagli a spiegare che ricco io non sono e questi son tempi da stringere la cinghia anche quelli come me). Senza merito o colpa. Non io ho scelto, come non ha scelto lui. La vita è stata che ha scelto per noi. Gazzella o leone. Correre a perdifiato per le savane del mondo. Vietato ogni paternalismo.

Sarà forse, infine, l’irritazione che mi monta e fuma dalle orecchie nel vederlo così: vittima arresa, abbandonata alla corrente, complice, accattone-dentro-forse-per-sempre. Sia chiaro però: vietata ogni indulgenza alla paternale moralistica.

Sarà. Forse. Sì, certo: ognuna di queste ipotesi aggiunge una tessera-risposta al mosaico dell’inquietudine-domanda. Ma non mi basta. Non per via d’algebra calcolerò come davvero stia la questione laggiù, nel fondo più fondo e più oscuro di me. Nei miei bassifondi interiori, nella mia valle cupa. Nel mio Wild Side. E se davvero voglio essere onesto fino in fondo, devo incontrare il mio demone e dargli un nome, il nome che merita: paura. Sì, lo confesso: certi giorni ho paura di chi potrei incontrare e riconoscere in fondo agli occhi di quel giovane africano che accattona.

È a questo punto che, sulla via del mio racconto, si fanno incontro, dal brusio insensato del mondo, due Muse generose. Due forze benigne e preziose, puntigliose e pedagogiche: Omero e Primo Levi. Protetto dal loro insegnamento, come potrei ingannarmi?

Omero per primo. Penso qui all’episodio di Eumeo: il fedele guardiano dei porci di Ulisse, che accoglie in casa il suo, di ritorno a Itaca in incognito, senza riconoscerlo. Lo accoglie senza se e senza ma. (E mica avranno avuto la sveglia al collo e l’anello al naso, questi Micenei! Ospitalità significava per loro anche, in qualche modo, egoismo-tornaconto spicciolo: ché il viaggiatore che bussava alla tua porta poteva essere un mendicante per davvero, ma poteva anche essere un Dio sotto mentite spoglie, venuto a metterti alla prova.) Comunque stessero le cose, Eumeo sfama generosamente il vecchio, gli offre un caldo giaciglio per la notte, chiedendogli in cambio solo racconti… Ecco la mia paura: ché in fondo agli occhi di quel giovane africano, che invoca qualche spiccio fuori da un bar, c’era un principe e io non l’ho riconosciuto quand’era il momento. Sì, perché nell’attimo in cui il fedele porcaro spalanca l’uscio del suo antro a Ulisse, tra loro due il principe potrebbe sembrare proprio lui, il porcaro, che in quell’istante, a differenza del vecchio lacero, affamato e avvizzito, sembrerebbe avere avuto tutto – o quasi tutto – dalla vita: sostentamento e dignità. Ma se poi ci pensi bene, l’apparenza inganna: il principe resta Ulisse. E tu, Eumeo, sei solo un guardiano di porci dimentico di sé, che non riconosce il principe nascosto nel viandante che implorava ospitalità.

Primo Levi invece. Il superstite-testimone, oscurato nell’anima dal tormento inestinguibile dell’essersi salvato, senza meriti specifici. Nelle notti del lager, Levi faceva un sogno ricorrente. Ma non si trattava di un sogno qualunque. Era piuttosto un sogno sognato da quasi tutti i deportati: esser tornato a casa, aver finalmente potuto riempire la pancia, poter finalmente narrare la propria odissea. Ma i cari che lo circondano, man mano, si fanno indifferenti alle sue parole, si distraggono, parlano d’altro. Si alzano, infine, abbandonano la tavola imbandita. Altra verità: questi ragazzi che tendono la mano per l’elemosina, tutti, soffrono di un comune male: il non trovare nessuno disposto ad ascoltare il loro racconto. Non c’è emigrante che non abbia provato, a sera nel giaciglio, questa umiliazione. Ecco quindi l’altra paura: in fondo a quegli occhi potrei riconoscere un uomo come me. Un uomo che desidera gli stessi desideri miei. Un essere umano che sogna gli stessi miei sogni. In fondo a quegli occhi potrei esserci io.


Appuntamento a Viterbo, teatro Caffeina (via Cavour). Martedì 11 dicembre 2018 (a partire dalle 10). Sarà di scena “Gli stessi sogni. Migranti senza tempo”, un’iniziativa targata Programma integra e realizzata nell’ambito del progetto Ipocad (Integrare politiche, servizi ed iniziative per coinvolgere gli attori e i destinatari). L’evento, finalizzato alla sensibilizzazione sul tema delle migrazioni si propone di promuovere la cultura dell’accoglienza attraverso il teatro, di diffondere i materiali prodotti nell’ambito del progetto stesso, di promuovere lo scambio tra giovani italiani e giovani stranieri, richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale.

Si partirà con gli immancabili indirizzi di saluto: prima toccherà a un rappresentante della Regione Lazio, ente capofila del progetto Ipocad. Poi sarà la volta di Costanza Raguso e Laura Antonini di Programma integra. Infine Luca Di Sciullo del centro studi e ricerche Idos.

Subito dopo, “mossiere” narrativo Antonello Ricci, il sipario si spalancherà per la pièce teatrale “Gli stessi sogni. Migranti senza tempo”. Uno spettacolo che racconta le migrazioni attraverso la viva voce dei migranti, senza differenze di provenienza. Protagonisti sul palco richiedenti e titolari di protezione internazionale ospitati presso il Cas – Centro di accoglienza straordinaria di Viterbo ma anche ex beneficiari dei progetti gestiti da Programma integra sul territorio di Roma, coadiuvati in scena da attori professionisti.

Numerose e variegate quindi le forze messe in campo per comunicare al meglio i delicati temi toccati dal lavoro, a partire da una scenografia realizzata con opere originali del pittore senegalese Mokodu Fall.

Grazie alla sinergia dei linguaggi di teatro, musica e arte pittorica, l’evento intende promuovere un incontro diretto tra studenti di varie scuole medie superiori di Viterbo e giovani migranti che vivono nel loro Paese e nella loro stessa città. L’obiettivo è quello di avvicinare mondi diversi attraverso l’ascolto delle storie e dei sogni di chi giunge in Italia per scappare da miseria, guerre e persecuzioni.

Lo spettacolo è realizzato in collaborazione con Banda del racconto, realtà locale che dal 1999 realizza spettacoli teatrali, libri e graphic novel, documentari video, passeggiate/racconto, reading/concerti e che dal 2017 dà vita al master di primo livello Dibaf-Unitus per “Narratori di comunità”. Per l’occasione la Banda, capitanata da Antonello Ricci, oltre alla presenza dei giovani migranti coinvolti nella pièce si avvarrà della collaborazione di attori e musicisti professionisti.

La partecipazione è gratuita e aperta a tutti.

Si ringraziano di cuore il Cas Viterbo Tre fontane e don Elio Forti della parrocchia di santa Maria della Verità. Un grazie speciale a Elena Spagnoli. Grazie a Ipse Viterbo.

Info: 0645753490; comunicazione@programmaintegra.it 

In scena: Abdoul Kone, Antonello Ricci, Bakaye Gassama , Charles Osemen , Chistian Ela, Dantouma Sidibe, Felix Adado, Gideon Okoeguale, Gorgio Fasone, Happy Okosun, Harrison Obi , Kalilou Cissé, Laura Antonini, Mohamed Bangura, Oyinbo Yanbor, Paola Congiu, Youssouf Sidibe; Roberta Sperduti (percussioni e libertà), Andrea Tozzi (composizioni originali e basso), Paolo Proietti (chitarra), Luciano Orologi (sax e clarinetto basso) e Roberto Pecci (percussioni)

Opere in scena, Mokodu Fall. Allestimento scenico e grafica, Emanuela Galeotti. Luci e suono, Domenico De Mattia.

Antonello Ricci


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10 dicembre, 2018

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