Verini contro Bocci: non c’è unità nel Pd

di P.C. 

Una cosa è certa. Gianpiero Bocci non sarà il candidato unitario «di tutto il Pd», come aveva chiesto nell’assemblea a Ponte San Giovanni, nella quale aveva ufficializzato la sua corsa a segretario regionale. A sfidarlo, oltre ai giovani Pensi-Meloni, ci sarà Walter Verini. E la lotta sarà aspra.

LA PRESENTAZIONE DELLA CANDIDATURA DI BOCCI

No al correntismo

Tutti parlano di un partito unito e senza correnti, ma gli sfidanti rivendicano di avere il diritto di farlo con la coscienza pulita mentre l’ex sottosegretario che, più o meno consapevolmente, per anni ha visto una corrente interna identificata col suo nome, non sarebbe attendibile da questo punto di vista secondo gli altri candidati. Non è un caso che sia – nei giorni scorsi – il ticket dei giovani, sia – nelle ultime ore – Walter Verini facciano esplicito riferimento alle correnti interne nei loro comunicati.

L’annuncio

«Credo che l’Umbria abbia bisogno di un Pd aperto e in grado di confrontarsi ogni giorno con la società – scrive Verini – di ricostruire nelle città e nella regione un centrosinistra unito, popolare, aperto davvero al mondo civico, alle associazioni, e, in particolare, alle nuove generazioni. Un Pd che la smetta di litigare o di fare accordi tra correnti (che sono in fondo facce della stessa medaglia) e pensi – in modo sinceramente unitario – a idee, programmi, soluzioni ai problemi quotidiani e veri dei cittadini. Nei prossimi giorni cercherò di spiegare meglio possibile i motivi e le idee alla base di questa decisione». Questo il manifesto programmatico del parlamentare, esplicitato in un comunicato stampa all’indomani della candidatura di Bocci, quasi a voler rispondere alla kermesse del sottosegretario. 

La telefonata

Ma cosa c’è oltre queste poche righe? Lo abbiamo chiesto proprio a lui, raggiungendolo al telefono in Polonia, dove si trova in missione («autogestita e autofinanziata», specifica) con altri parlamentari ad Auschwitz. Non c’entra nulla con l’Umbria (almeno non direttamente) ma apprendiamo così che il padiglione italiano nel museo dell’olocausto è chiuso da 15 anni e il parlamentare umbro è in prima fila per accelerare le procedure di riapertura. Verini giura che la concomitanza non è voluta, che l’idea di candidarsi c’era da tempo (gli sarebbe stato chiesto da molti subito dopo la sconfitta alle politiche) e rimanda tutti gli approfondimenti ad una conferenza stampa. 

«Non mi tiro indietro»

Innanzitutto un chiarimento: «Io ho tante cose da fare, a Roma, che mi gratificano molto, cose belle e importanti – dice Verini dall’altro capo del telefono – per poter fare il segretario regionale dovrei rinunciare a qualcuna di queste. Se lo faccio è perché mi è stato chiesto da più parti di fare qualcosa per la mia regione e per il mio partito. Quello che è successo il 4 marzo non può essere ignorato. Ma anche quello che abbiamo visto in città importanti come Umbertide, Spoleto e Terni, dove il partito è allo sbando. Non posso girarmi dall’altra parte. C’è bisogno di dare una mano, ma soprattutto c’è bisogno di un taglio netto col passato». E qui veniamo al nodo della questione.

«Non faccio parte di correnti»

«C’è bisogno di una persona nuova, che non sia legata a correnti, ma dico di più – scandisce il parlamentare – c’è bisogno che non venga neanche percepito come qualcosa di vecchio, che non venga identificato come uno di quelli che in questi anni ha falcidiato il partito con lotte intestine». Lui non lo dice ma il riferimento è chiarissimo alla guerra fra che si sono fatti, in particolare, Bocci e la Marini in questi anni, tanto che la notizia, l’altro giorno, più che la candidatura di Bocci, era la presenza della Marini ad applaudirlo. Verini giura che non è una candidatura contro, che con entrambi i rapporti sono cordiali, ma è chiaro il bersaglio delle sue parole. 

Lo spartito e il direttore d’orchestra

«Dobbiamo discutere del futuro dell’Umbria – dice Verini – con le forze esterne al partito; dobbiamo parlare di impresa, di lavoro, di cultura, di precariato. Il congresso potrà essere un momento importantissimo da questo punti di vista per stilare un decalogo programmatico, una piattaforma comune sulla quale confrontarsi. Sento parlare tanto di unità, questo può essere un punto di partenza. Un direttore d’orchestra può interpretare e dirigere uno spartito in un modo o in un altro, ma lo spartito resta quello. Ecco, la mia idea che lo spartito lo decidiamo insieme, dopodiché decidiamo chi va a fare il direttore. Io questo sforzo lo farei. Però voglio avere la garanzia che dal giorno dopo si fa quello che si è deciso tutti insieme». Ma attenzione, non è un’ipotesi di retromarcia: «Io mi candido per fare il segretario – puntualizza Verini – non ci sono piani B. A meno che non sia qualcun altro a fare un passo indietro per il bene del partito. E a quel punto possiamo pure evitare le primarie».

No a nomine per correnti

Verini non anticipa quali possono essere i punti del decalogo, ma fa un esempio: «A me non piace l’idea che quando bisogna nominare qualcuno (si seguano criteri di spartizione fra le correnti). Bisogna seguire un unico criterio: la meritocrazia. Se su questo punto siamo d’accordo abbiamo già fatto un bel passo in avanti. Me lo auguro io, ma se lo augura anche il nostro elettorale. Dobbiamo dare segnali di apertura forti. Garantire il merito e le competenze, non le appartenenze».

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