La corruzione opprime ancora

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Nel 2017 l’Africa si è riconfermata al primo posto tra i continenti per il livello di corruzione percepita. Lo evidenzia il report di Transparency International, pubblicato il 21 febbraio scorso, che classifica 180 paesi secondo un Indice di corruzione percepita (CPI) nel settore pubblico. L’indice di quest’anno sottolinea che la maggior parte dei paesi non sta facendo progressi nella lotta alla corruzione, mentre ulteriori analisi dimostrano che giornalisti e attivisti, nei paesi con un alto livello di corruzione, rischiano la vita ogni giorno per fare il proprio mestiere. A livello globale, i risultati migliori li hanno ottenuti la Nuova Zelanda (89) e la Danimarca (88); quelli peggiori la Siria (14), il Sud Sudan (12) e la Somalia (9). Gli stati che si trovano in fondo alla classifica sono scossi da conflitti o guidati da governi fragili, il che rende difficile qualsiasi tentativo di lotta alla corruzione.

Sono peggiorate le performance di alcuni paesi del Nordafrica (classificati a parte, insieme al Medio Oriente). Dopo le “primavere arabe” del 2011, i governi della regione, soprattutto Marocco ed Egitto, hanno infatti intensificato la repressione del dissenso politico, della libertà di parola, dei media indipendenti e delle organizzazioni della società civile. Il governo marocchino, per esempio, ha represso brutalmente le recenti proteste nella regione del Rif, che chiedevano dignità, giustizia sociale e fine della corruzione e degli abusi di potere. Anche la Tunisia ha assistito ad una battuta di arresto rispetto ai progressi degli ultimi anni, in particolare riguardo ad una legge che garantisce l’amnistia per tutti i funzionari corrotti che hanno prestato servizio durante il precedente regime.

Fanalino di coda

L’Africa sub-sahariana è la regione che ha ottenuto il punteggio più basso, con una media di 32. Si registrano tuttavia dei miglioramenti in Botswana (61), Seicelles, Mauritius (50), Capo Verde (55), Rwanda (55) e Namibia, grazie ad una leadership consistentemente impegnata nella lotta alla corruzione. A Capo Verde, il presidente Jorge Fonseca ha promosso la trasparenza istituzionale, mentre alle Mauritius il primo ministro Pravind Jugnauth si è impegnato ad aumentare di 16 punti il risultato del suo paese, nei prossimi 10 anni. Le performance migliori nel continente sono state, però, quelle di Costa d’Avorio e Senegal. Yamoussoukro (36) ha ottenuto 9 punti dal 2013. Durante il suo primo mandato, il presidente Alassane Ouattara ha mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale, promulgando una legge sulla prevenzione e repressione della corruzione, istituendo un’autorità nazionale anti-corruzione e organizzando una serie di eventi internazionali, come l’iniziativa sulla trasparenza nell’industria estrattiva (EITI).  Anche il Senegal ha migliorato il suo risultato di 9 punti negli ultimi 6 anni. Il presidente Macky Sall, nel 2012, ha istituito il ministero della Buona Governance e l’Ufficio nazionale contro la frode e la corruzione (OFNAC), riattivando la Corte senegalese per la repressione dell’arricchimento illecito (CREI).

Importante denunciare

D’altronde, gli individui corrotti si sono dimostrati abili nel trovare metodi per aggirare i vincoli formali, fa notare Transparency, motivo per cui approcci dal basso si sono rivelati più sostenibili rispetto a riforme legali e istituzionali. La libertà di associazione, infatti, è considerata di importanza vitale nella lotta contro la corruzione. Le organizzazioni della società civile svolgono un ruolo chiave nel denunciare le violazioni dei diritti o della legge, sostenuti anche dal lavoro d’inchiesta e segnalazione del giornalismo indipendente. Gli sforzi congiunti di queste componenti della società possono contribuire a far scattare l’azione delle forze dell’ordine e del sistema giudiziario. Il report evidenzia infatti che i paesi che rispettano la libertà di stampa, incoraggiano il dialogo e consentono la piena partecipazione delle organizzazioni della società civile, tendono ad avere più successo nella lotta alla corruzione. Il fenomeno è approfondito grazie ai dati forniti dal Comitato per la protezione dei giornalisti, che documentano i casi di omicidio durante lo svolgimento del proprio lavoro. Dal 2012 ad oggi, 368 giornalisti sono morti mentre “inseguivano una storia” e il 96% dei decessi è avvenuto in paesi in cui il settore pubblico è ampiamente corrotto (solitamente con un punteggio inferiore a 45). Inoltre, un giornalista su cinque è stato ucciso mentre stava indagando su casi di corruzione. Ciononostante, alcuni paesi che hanno ottenuto un punteggio relativamente buono continuano ad imporre restrizioni paralizzanti ai media e alle organizzazioni della società civile. Si tratta però di eccezioni.

L’indice, conclude Transaprency, può servire come punto di partenza per politiche di contrasto al fenomeno che l’Unione Africana potrebbe adottare nel 2018, considerando che il tema dell’anno è “Vincere la lotta contro la corruzione: una traiettoria sostenibile per la trasformazione dell’Africa”.

Federica Ferrero da Nigrizia.it

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