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CULTURA | 29 giugno 2018, 14:20

Fratel Semeraro, 'fermezza e misericordia nel trattare gli abusi sessuali dei preti'

Aostacronaca ha incontrato l’autore di 'Preti senza battesimo? Una provocazione non un giudizio' a Rhemes-Notre-Dame, presso la Koinonia della Visitazione, dove fratel MichaelDavide risiede da una decina di anni insieme ad altri due fratelli

Fratel MichaelDavide Semeraro

Fratel MichaelDavide Semeraro

In un periodo di scandali, spesso gonfiati dall’enfasi dei media, non è facile parlare con serenità e cognizione di causa del ruolo dei sacerdoti nella Chiesa cattolica. Ci riesce molto bene un libro delle edizioni San Paolo scritto con ammirabile chiarezza dal biblista e monaco benedettino MichaelDavide Semeraro.

Abbiamo incontrato l’autore di 'Preti senza battesimo? Una provocazione non un giudizio' a Rhemes-Notre-Dame presso la Koinonia della Visitazione, dove fratel MichaelDavide risiede da una decina di anni insieme ad altri due fratelli.

Il suo ultimo libro ha acceso un dibattito molto vivo. Come prima cosa ci può spiegare il senso di un titolo così particolare?

La chiave che permette di capire il significato del mio lavoro è proprio il punto interrogativo presente nel titolo. La mia riflessione nasce soprattutto dall’esperienza di accompagnamento di alcuni preti che hanno attraversato un periodo di fatica a vari livelli. Ho potuto constatare come spesso ci si trovasse davanti ad una errata 'gerarchia sacramentale'".

Può spiegarci meglio che cosa intende?

E’ necessario essere molto chiari sulla questione: l’ordinazione presbiterale è una declinazione della fedeltà al battesimo. In altre parole, prima viene il battesimo poi l’eventuale ordinazione. Ne consegue che si possa smettere di essere preti, ma non di essere dei battezzati. Il sacerdozio non è una sorta di investitura dall’alto che trasforma il prete in un membro di una casta sacra. Il ministero presbiterale va sempre vissuto all’interno di una più ampia vocazione battesimale che è la chiamata a conformarsi a Cristo servo dei fratelli.

Nel suo libro lei affronta anche lo scottante tema degli abusi sessuali compiuti da sacerdoti.

Non è possibile tacere su questo aspetto. E’ necessario parlarne. L’indignazione che il mondo esterno alla Chiesa esprime su questo tema è pienamente comprensibile e anche condivisibile. Non può essere però la sola risposta del mondo intraecclesiale. La fermezza è infatti necessaria, ma non è sufficiente, va accompagnata con la misericordia.

Che cosa intende per misericordia in riferimento a situazioni limite come quelle della pedofilia nella Chiesa?

Intendo dire che là dove si accerti una delinquenza conclamata è necessario procedere alla dimissione dallo stato clericale per chi si è reso colpevole di questi atti. Ma non può esserci dimissione alcuna dal battesimo che è il sacramento che ci incorpora a Cristo e alla Chiesa. Una volta chiarita e accettata la situazione di alcuni preti la Chiesa deve agire con fermezza, ma non può esimersi dall’accompagnare anche queste persone. Oggi non possiamo più limitarci ad arginare un problema, anche la questione più dolorosa e scandalosa deve essere occasione di uno sforzo interpretativo.

Nel suo libro denuncia come per molto tempo la teologia della proibizione sia stato il modo prevalente per affrontare il tema della sessualità legata al sacerdozio. Oggi è cambiato qualcosa?

Per fortuna sì. Nell’antichità il tabù sessuale era l’unico modo per gestire la sessualità e anche per arginare la violenza che spesso ad essa era legata. Oggi abbiamo altri mezzi. Con il Concilio Vaticano II si riconosce alla sessualità un valore in sé, essa cessa di essere un “remedium concupiscentiae”, ovvero una sorta di argine all’impossibilità di controllare le proprie pulsioni sessuali. Nella Chiesa cattolica di rito latino il celibato dei preti è una questione di disciplina ecclesiastica che ha la sua ragion d’essere, ma che pure non è dirimente. E’ quindi necessario procedere con grande attenzione al discernimento. Oggi le persone che vogliono mettersi al servizio della Chiesa come presbiteri devono essere accompagnati a guardare a se stessi con grande realismo e a chiedersi se sono davvero in grado di accettare ciò che il ministero prebiterale ancora oggi richiede nella nostra Chiesa.

Dunque il celibato è ancora necessario al sacerdozio?

Anche in questo caso è necessario fare chiarezza. Il celibato non è essenziale all’ordinazione. Ciò di cui la Chiesa ha bisogno è il sacramento dell’ordine, non il celibato, il quale appartiene alla disciplina e non è dogma. E mentre il dogma rimane tale, la disciplina può subire dei cambiamenti. Dunque io penso sia legittimo chiedersi se il celibato sia ancora funzionale al ministero sacerdotale oggi e se non si possano ipotizzare altre modalità con cui vivere il sacerdozio accanto a quella del celibato che comporta una vita solitudine affettiva e la rinuncia ad una vita sessuale attiva.


Chiara Thiebat

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