Via i Benetton da Autostrade? Libero: “Per loro è un affare”

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Voi suonerete i vostri immigrati, noi suoneremo i nostri Benetton. Dove “suonare” significare pestare di santa ragione. Il ping-pong propagandistico dei due vicepremier, che cavalcano per carità, con ragione sul piano tattico – i loro rispettivi cavalli di battaglia. Ieri, mentre Salvini sposava Orban, Di Maio è tornato a sparare “a palle incatenate”, come il Corsaro Nero, contro i Benetton, definendoli “prenditori” (con espressione felice mutuata, probabilmente, dall’imprenditore-anti-‘ndrangheta di Gioia Tauro Nino De Masi che aveva visitato a luglio) anzichè “imprenditori”.

Il pericolo è il loro mestiere, di Matteo e di Giggino, perché il rischio vero è che, per la fretta di fare proclami, finiscano col fare dei favori. Se non nel caso dei migranti – ma in fondo a Orban quando gli ricapita di trovarsi in Europa un alleato come l’Italia? – sicuramente nel caso di Autostrade, irto di insidie legali. Cerchiamo di capirci. Benetton “prenditori”? Non ci permetteremmo mai di dirlo, giusto per non dover poi pagare gli avvocati per difenderci dalla querela, però diciamo che Autostrade non ha mai chiuso un solo bilancio in perdita, neanche quand’era dell‘Iri. Una di quelle aziende che producono soldi come una mucca produce latte, basta dargli un po’ di fieno. Chiunque glielo dia.
VALORE IN BORSA
Spendendo a suo tempo di tasca propria la miseria di 800 milioni, i Benetton si sono accaparrati il 30% di Autostrade, con cui hanno sempre comandato, nel dormiveglia sereno degli investitori istituzionali che facevano contorno come soci di minoranza, tutti sicuri dei dividendi di circa il 5% netto all’anno sulla capitalizzazione sempre pagati. Il tutto oggi vale – pur dopo i rovesci di Borsa – otto miliardi, malcontati. Insomma, una cuccagna. Che scadrebbe nel 2042 (quando Di Maio avrà 55 anni e Salvini 67!). Per questo, il governo la vuole revocare subito. E politicamente è lecito. Ma con quale motivazione? Se ci fosse una dimostrata causa di indegnità, sarebbe relativamente facile mandar via senza risarcimenti né indennizzi i soci di controllo, i Benetton, che hanno sempre espresso la gestione; già più difficile sarebbe “punire” i soci di minoranza, che non contavano niente. Ma per dimostrare una indegnità bisogna attendere una sentenza giudiziaria: e figuriamoci, ci vogliono dieci anni, e poi si finisce alla Corte di Giustizia Europa. t come non averla, una magistratura così.
E dunque? Dunque rinazionalizzare Autostrade dovrebbe essere un mero atto politico, e rischia così di diventare un regalone per quegli stessi Benetton che oggi, tra una festa a Cortina e l’altra, si beccano senza fiatare del “prenditore”. Cioè significa dovergli pagare una buonuscita: peggio ancora, doverla pagare in realtà a tutti i soci di Atlantia, la holding nella quale i Benetton hanno ficcato sia Autostrade che Aeroporti di Roma, e che resterebbe con quest’ultimo, unico asset. E quanti soldi dovebbe tirar fuori, alla bisogna, lo Stato? Tra l’altro, Autostrade è ancora indebitata dei debiti fatti dai Benetton per comprarsela, pagando le rate di rimborso alle banche con i soldi prodotti dalla rendita autostradale. Significa che lo Stato – probabilmente attraverso la Cassa depositi e prestiti – dovrebbe accollarsi anche questi debiti… per carità, visto che, sotto, la vacca produce latte si può fare (che poi la vacca siamo noi, quando paghiamo i pedaggi) ma son sempre soldi. E tra l’altro, Di Maio avrebbe anche promesso di ridurre i pedaggi… Insomma, il regalo ai Benetton è stato talmente pingue e ricco che adesso a strapparglielo si rischia di fargliene un altro.
DANNO ERARIALE
Dopo di che, nel “post” con cui ieri Di Maio ha riattizzato il fuoco alle polveri della polemica, se l’è presa con «tutti i politici e tutti i giornali finanziari nel corso di questi anni», altra asserzione che s’infilerà in un loop di dimostrazioni impossibili, di opposti “fact-check” delle testate nemiche e amiche, che non appureranno un bel niente, salvo far pensare ai più: «So’ tutti mariuoli». E difatti, per non farsi mancare niente, Di Maio ha anche detto di aver avviato una verifica per capire se si possono denunciare per «danno erariale» alla Corte dei conti tutti coloro che hanno favorito la concessione di Autostrade ai Benetton.
Ora: che si possa minimamente considerare normale il crollo di un ponte verificatosi senza nessun terremoto, è escluso. Che le responsabilità dei concessionari in questi casi siano innegabili e non diminuiscano neanche se si dovesse ravvisare una parallela negligenza nei controlli statali, è pacifico. Che la nazionalizzazione di un bene privatizzato sia una cosa fattibile, come hanno fatto a maggio gli inglesi (gli inglesi!) rinazionalizzando alcune linee ferroviarie privatizzate malamente, è altrettanto sicuro.
Però, Di Maio, senti: è un peccato dire così male cose in sé e per sé giuste. Non è materia da post.

 di Sergio Luciano da Libero