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Il #DecretoSalvini inchioda una volta di più la questione migranti al tema sicurezza

Proprio nel giorno dell'approvazione in CdM del Decreto Sicurezza, il Financial Times pubblicava un inserto intitolato “Investing in Refugees” in cui si dimostra quanto sia urgente immaginare un investimento di medio periodo per provare ad uscire dallo stallo e dalla logica dell’emergenza per varare politiche di vera integrazione e di cooperazione. Come ha fatto il sistema Sprar punito nel Decreto

di Giuseppe Guerini

Il 25 settembre, mentre una parte maggioritaria degli italiani festeggia la riuscita vendetta a freddo contro i rifugiati e contro le comunità locali che attraverso il sistema SPRAR e i giornali italiani portavano in prima pagina la fotografia del Presidente del Consiglio che con il suo vice fanno l’ostensione del foglio che promuove il decreto sicurezza, il Financial Times pubblicava un intero inserto intitolato “Investing in Refugees” nel quale con diversi articoli si evidenziano i potenziali innovativi e anche i ritorno economico a cui stanno guardando molti investitori e imprese, insieme a fondazioni, Nazioni Unite e enti filantropici che stanno promuovendo start-up e progetti di sviluppo nei più affoltati e disastrati campi di accoglienza del Kenya e del Rwanda.

Un’occhiata ai titoli di questi articoli che suonano più o meno così (perdonerete la traduzione grossolana): “Come abilitare i rifugiati può contribuire alla crescita della società” oppure “Come i progetti umanitari possono beneficiare della tecnologia blockchain” e ancora “Dare sostengo ai rifugiati ripaga l’impegno con gli interessi”.

In sostanza il quotidiano sottolinea nel suo report come la voglia di riscatto, l’ambizione a migliorare le proprie condizioni di vita, l’aspirazione ad un futuro migliore che muove moltissime delle persone che, superato il trauma della fuga dal loro paese, cercando di mettersi in gioco per trovare nuove opportunità, rappresenta un’energia e un potenziale per lo sviluppo. Altro che business dei migranti messo in piedi da speculatori cinici e straccioni che lucrando sulla patologia di un sistema emergenziale che sembra fatto apposta per creare disagio hanno speculato sull’accoglienza, per poi far ricadere le colpe e gli insulti su Cooperative Sociali e ONG.

L’Italia e l’Europa, inchiodati dall’incapacità di affrontare seriamente la questione migranti e rifugiati, continuano invece a scegliere la strada dell’emergenza e dell’ipocrisia: con i paesi meno esposti sui confini che predicano l’accoglienza (meglio se in casa d’altri) e razzolano l’ospitalità col conta gocce e altri, a cui si è aggiunta l’Italia, che scelgono la strada della criminalizzazione dei migranti e la negazione dell’esistenza di una questione rifugiati: nessuno in ogni caso sembra provare ad immaginare un investimento di medio periodo per provare ad uscire dallo stallo e dalla logica dell’emergenza.

In questi anni di difficile gestione, seppure tra molte contraddizioni, il sistema SPRAR aveva rappresentato davvero una formula di gestione che era riuscita a superare a gestione emergenziale, creando percorsi reali di integrazione, sempre realizzati assegnando un ruolo centrale alle amministrazioni locali e ai Comuni.

Diversamente dai CAS e dalla cosiddetta accoglienza prefettizia che tanti Sindaci avevano contestato lamentando di dover subire le assegnazioni di strutture senza essere consultati, gli SPRAR si realizzavano solo a partire dall’iniziativa dei Comuni.

Per questo appare davvero come una scelta infelice quella di ostacolarne il funzionamento e rendere sempre più complicati i percorsi per avviare alla formazione o al lavoro le persone migranti, anche quelle già ammesse nel sistema di protezione per rifugiati.

Il Governo che gode del consenso della maggioranza degli italiani può legittimamente decidere di praticare una politica restrittiva per gli arrivi, decidere di alzare il livello di controllo delle frontiere e respingere i tentativi di ingresso, ma è controproducente invece ostacolare la buona gestione di un sistema per gestire il sistema per accompagnare i rifugiati riconosciuti ad un percorso legale e buona integrazione, che è anche il migliore sistema per garantire la sicurezza nel Paese.

Intervento che per altro viene adottato senza che sia stata fatta una valutazione preventiva. In questi anni di lavoro in Europa tra le cose che ho potuto apprender ed osservare è la diffusa attuazione da parte della Commissione Europea di valutazioni di impatto che precedono sempre l’adozione di nuovi provvedimenti. Una pratica che di fatto viene completamente ignorata dalla politica italiana, a prescindere dagli orientamenti politici: i Governi devono sempre sconfessare quanto fatto da chi precedeva, intervenendo a prescindere dalla realizzazione di piani valutativi, ma prevalentemente sull’onda della sensazione o dell’ideologia per dare un’immagine di cambiamento, che senza una valutazione rischia però di non raggiungere gli effetti desiderati. È molto probabile infatti che il risultato del decreto sicurezza finisca per essere l’aumento del numero di irregolari (clandestini) come effetto paradossale che invece che migliorare la situazione alla luce della diminuzione di nuovi arrivi, potrebbe peggiorarla.

Per questo sarebbe preferibile distinguere nettamente le politiche e non fare un unico calderone di sicurezza, immigrazione, controllo delle frontiere, controllo del territorio, protezione umanitaria, accordi internazionali.

Ciascuno di questi temi meriterebbe un decreto a sé: un conto è gestire le politiche migratorie altra cosa è trattare di rifugiati e protezione internazionale; un conto è la sicurezza e l’ordine pubblico, altro la protezione dei confini.

Tornando all’inizio dell’articolo, è impossibile pensare di affrontare la questione rifugiati e la gestione dei flussi migratori senza mettere sul piatto un piano di lavoro per gli investimenti nei paesi in via di sviluppo ma soprattutto nei paesi di transito, dove davvero si potrebbero promuovere progetti di sviluppo importanti magari facendo alleanze costruttive con le ONG e le imprese sociali o ordinarie, che vogliono investire sull’innovazione e lo sviluppo.

Il fatto che non se ne trovi traccia da nessuna parte nelle politiche dei Governi europei, che si coprono con la foglia di fico dei programmi di sostegno allo sviluppo finanziati dalla Commissione Europea, che assorbono una percentuale molto modesta del bilancio dell’Unione, legittima il dubbio che alla fine la presenza di migranti e rifugiati come problema sommariamente gestito soltanto sul piano della sicurezza, alla fine sia funzionale a mantenere elevato il livello di tensione e minaccia, come polizza assicurativa sulla continuità del successo elettorale per chi propone soluzioni tanto semplicistiche quanto di dubbio successo, individuano nei migranti la causa di tutti i mali dell’Europa.

* Presidente di CECOP-Cicopa Europa


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