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Taranto, mafia popolare e imprenditrice nella relazione semestrale dell’antimafia

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Nel nostro territorio la criminalità organizzata non è per nulla immune da affari, riti e gerarchie criminali.

È questo quanto emerge dall’ultima relazione semestrale della Dia, che parla anche di associazioni a delinquere “in grado di relazionarsi con le istituzioni e infiltrarsi nel tessuto economico-imprenditoriale di Taranto e della provincia”.

Gli investigatori dell’antimafia parlano di quella tarantina come una delinquenza dinamica, che risente sì dell’influenza di “storiche” personalità mafiose, ma che comunque è in grado di aggregare nuove e agguerrite leve criminali. Un’associazione a delinquere disomogenea, con clan autonomi che si distribuiscono nei quartieri del capoluogo e che quindi hanno capillarità sulla propria “giurisdizione”. La criminalità è allo stesso tempo giovane e al passo con i tempi, autonoma e addirittura provvista di un’ala militare in grado di sopperire a scontri armati qualora ci fossero attriti nel controllo del territorio.

Appunto, il territorio, che a prescindere da qualsiasi traffico illecito è il principale viatico per stabilire la propria egemonia sullo smercio di droga, sulle estorsioni, sulla vendita di prodotti ittici e sul gioco d’azzardo, obiettivi “evergreen” e nel mirino proprio degli emergenti della mala tarantina, che con nuove energie mira anche a infiltrarsi nel locale tessuto socio-economico.

Nella sua relazione semestrale la Dia racconta anche lo scenario abbastanza critico del versante occidentale della provincia. In particolare i superpoliziotti si soffermano sull’operazione “Lampo”, messa a segno dai Carabinieri del ROS, che oltre a far luce sugli accordi legati al traffico di cocaina tra il boss di Massafra Cataldo Caporosso e la ‘ndrangheta di Rosarno ha permesso di tracciare uno scenario lineare all’interno della mappatura del territorio.

“Lampo”, inoltre, ha suggerito agli investigatori l’entità delle cosche mafiose attive in questa frazione del territorio: le famiglie Caporosso-Putignano, ma soprattutto la famiglia di Franco Locorotondo, detto “Scarpalonga”, arrestato nel 2014 nell’ambito dell’operazione “The Old” dei Carabinieri. Per la Dia controlla i territori di Crispiano, Palagiano, Palagianello, Mottola, Massafra e Statte oltre a quelli di Pulsano (insieme al gruppo Agosta) e Lizzano (insieme ai fratelli Cataldo e Giuliano Cagnazzo). Un quadro, questo, confermato anche dal pentito Vincenzo Mandrillo, condannato per omicido, che ha indicato in “Scarpalonga” uno dei massimi gradi della criminalità tarantina.

Qualcosa è certamente cambiata dall’epoca di “Ellesponto”, quando le morti per mafia erano all’ordine del giorno, ma s’intravede all’orizzonte una situazione instabile e sanguinosa a causa della scarcerazione di vecchi boss, che potrebbero faticare a ristabilire la propria leadership e sarebbero quindi pronti a ricorrere in maniera disinvolta all’uso delle armi, in particolare nella zona di Palagiano e Massafra. Si ipotizza, dunque, un altro, ennesimo triste epilogo.

Andrea Carbotti

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