A mesi random, un p0′ quando ci va a noi, raccogliamo il meglio di quello che è stato proposto da Yanez e lo riproponiamo. Questi sono gli articoli che avete apprezzato di più nei mesi di maggio, giugno e luglio 2018:
Viaggio al termine di Torpignattara
di Shendi Veli
C’è questo quartiere di Roma che suona familiare a molti ma che in pochi conoscono davvero. Si chiama Torpignattara, per la gente del posto Torpigna. Il nome deriva dal modo gergale di chiamare le anfore, “pignatte”, che decorano il mausoleo di Elena, madre dell’imperatore Costantino, che risale al quarto secolo dopo cristo e i cui resti si stagliano ancora su Via Casilina, a segnare il confine orientale del quartiere. La toponomastica tuttavia è un sapere riservato a pochi curiosi, per tutti gli altri il nome Torpignattara evoca grosso modo il folklore di una gretta periferia, qualcosa di romanaccio e sgangherato, come il rumore di una finestra rotta in una notte di vento.
La scuola tedesca non è per poveri
di Alessandro Borscia
Da diciotto anni l’OCSE, l’assemblea economica internazionale con sede a Parigi, fondata nel 1961 con lo scopo di favorire la cooperazione e l’integrazione dei Paesi sviluppati, rende noti, ogni tre anni, i risultati di un’indagine mondiale svolta fra un numero sempre crescente di nazioni (membri OCSE e non). PISA (Programme for International Student Assessment), questo il nome dello studio, si pone l’obiettivo di fornire ai governi gli indicatori e gli strumenti utili a migliorare l’efficienza e l’efficacia dei propri sistemi d’istruzione e formazione, valutando le prestazioni scolastiche negli ambiti della lettura, della matematica e delle scienze della natura di alunne e alunni di quindici anni d’età.
Nella sua ultima edizione del 2015 la ricerca ha preso in esame circa 540mila studenti, rappresentativi di 29 milioni di adolescenti dei 72 paesi e aree economiche partecipanti. Fra gli obiettivi dell’indagine, anche quello di capire in che misura il successo scolastico sia collegato a fattori come la condizione socioeconomica, il genere sessuale o il retroterra migratorio.
Le notti di Anita Berber
di Olga Bavusotto
La notte è ormai fonda. Anita balla un tango appassionato con Mia, bellissima e dai capelli biondo fragola.
Un piccolo gruppo comincia a circondare le due ballerine ubriache. Maliziosa, Anita palpeggia il seno di Mia, che collassa in estasi sul pavimento. Ellen, la fidanzata di mia, lesbica di grande influenza all’interno del locale, si affretta ad aiutare la sua amante.
Un banchiere austriaco si aggrappa ad una gamba della Berber, provando a baciarle il fianco; svincolandosi dalla presa con un gesto naturale, la ballerina gli indica il divano, in modo da fare spazio a Mia. Dolli Mainz, moglie del banchiere, solleva la gonna mostrando le gambe ai soldati in sala; Anita prende nuovamente possesso della scena alzando la propria sopra i fianchi. I fortunati spettatori la applaudono. Il banchiere propone una gara per decidere le gambe più belle. Avvicinandosi all’affascinante Mia, Anita le stacca il fermaglio dai capelli, sciogliendoli lungo le spalle, e le pianta un lungo bacio in bocca. Ellen tenta di sottrarre Mia dalla sua corteggiatrice. L’aria crepita di tensione. Anita non ha intenzione di cedere e si lancia violentemente addosso alla rivale, urlando disperata, le mette le mani in faccia e la graffia. Qualcuno le separa e la trascina via. Anita protesta gridando di voler solo ballare! “Se vuoi ballare dovrai farlo nuda” suggerisce qualcuno. “Nuda” “Nuda” “Nuda”, adesso il gruppo di spettatori si è decisamente ingrandito. Con un gesto naturale la ballerina si sfila via dal vestito e comincia a girare su se stessa, usando il corpo come un’arma.
Dove il fango è più dolce del miele
di Shendi Veli
Il primo ricordo vivido che ho dell’Albania risale a quando avevo poco meno di quattro anni. Ero su una pista di decollo, di fronte alle scalette d’ingresso di un aereo con i motori già accesi.
Mi ricordo poche cose di quel momento, a malapena una per ogni facoltà sensoriale.
In bocca avevo un sapore chimico e dolciastro di aranciata, mia madre ne aveva comprata una per rassicurarmi fra le mille attese di quella giornata.
Dagli occhi vedo una sola immagine, un cielo nuvoloso e giallastro e la sagoma statuaria di mia madre con indosso un tallieur di cattiva qualità, i suoi capelli lunghi e corvini tirati rabbiosamente dal vento, che si dispongono quasi per orizzontale, da un lato della testa, come serpenti attirati da un profumo misterioso. Non riesco a capire se il vento fortissimo, che non sento ma vedo nella forza che solleva e sconvolge i capelli di mia madre, sia atmosferico o solo dovuto alla vicinanza delle eliche dell’aereo. Non lo saprò mai. Mia madre è di spalle e parla con due uomini in uniforme che scuotono la testa. Ma questo parlare lo immagino soltanto, nel ricordo l’audio è interamente dominato dal boato vibrante e mostruoso dell’aereo.
Quel rumore, quei capelli straziati dal vento, producono per la prima volta nella mia vita la sensazione che qualcosa di grave stia accadendo. Sono forse la mia primissima percezione dell’esistenza della società. È anche la prima volta in cui mi sono sentita preoccupata.
Jordan Peterson non è credibile
di Margherita Seppi
Jordan Peterson negli ultimi due anni è passato dall’essere un anonimo docente universitario canadese di psicologia allo status di star. Ospite di una miriade di trasmissioni televisive e radiofoniche, viene osannato dai suoi fan in ogni angolo dell’internet, oppure insultato violentemente da chi non è d’accordo con lui. Il suo ultimo lavoro: 12 rules for life, an antidote to chaos, è un bestseller internazionale.
Perché tutti questi riflettori puntati su Peterson?
Ulrike Meinhof: giornalista, terrorista, rivoluzionaria
di Shendi Veli
Nessuno può dire se l’anno 1967 abbia segnato l’inizio o la fine della protesta giovanile in Germania Ovest, in molti però riconoscono in questa data una svolta, un’increspatura delle acque che innesca il vortice degli eventi, il maelstrom, come lo definisce il poeta e scrittore tedesco Peter Haertling.
Nel 1966, nella Repubblica Federale Tedesca, si era instaurata la prima Grosse Koalitiondella storia, un accordo tra i Cristiano-democratici della CDU e i socialisti della SPD che lasciava di fatto il Parlamento privo di una vera opposizione. Franz Josef Strauss, conservatore bavarese che aveva svolto incarichi politici e militari durante il Terzo Reich, viene nominato Ministro delle Finanze.
Come lui, molti tra alti funzionari, politici e ufficiali delle forze dell’ordine avevano un passato di connivenza con il nazionalsocialismo. La denazificazione infatti era stata soprattutto un’operazione di facciata, mancando la reale possibilità, e secondo qualcuno la volontà politica, di epurare due generazioni di dipendenti statali, esponenti politici locali, soldati addestrati.
Nel frattempo nelle università tedesche si formava la prima generazione di uomini e donne esenti, per motivi anagrafici, da responsabilità concrete durante il nazismo. Questo li rendeva ai loro occhi molto diversi da coloro che li avevano preceduti. L’elemento alla base di questa frattura era proprio il giudizio sui loro “padri”, ai quali non era stato mai fatto il processo morale collettivo necessario a una rottura reale col passato nazifascista.
9 Righe
di Redazione
Curato da Paola Moretti
9 Righe è una rubrica mensile di consigli di lettura illustrati, curata da Paola Moretti.
In 800 battute vi raccontiamo delle nostre ultime letture e del perché ci sono piaciute. Una squadra di illustratori interpreta graficamente le mini-recensioni e disegna le copertine dei libri. Le potete vedere a tutto schermo cliccando sull’immagine.
Katarina Witt vs Tonya Harding
di Daria Tombolelli
Quando Katarina Witt partecipa alle Olimpiadi Invernali del 1984, vincendo, nel pattinaggio di figura, uno dei nove ori collezionati in quella edizione dalla Germania Est, Tonya Harding ha appena quattordici anni. È da considerare altamente improbabile che quest’ultima si trovi di fronte alla televisione a sognare un futuro simile per se stessa, nel momento in cui Katarina, nel suo vestito rosa, poggia la lama del pattino sul ghiaccio, durante quella competizione.
Totalmente impossibile, invece, è che una delle due possa anche solo immaginare che, di lì a dieci anni, la pista di Lillehammer, dove si svolgeranno le Olimpiadi Invernali del 1994 sarà segnata in lungo e in largo dalle sottili lame dei pattini di entrambe. E non solo. La Witt, sarà allora sul finire della sua carriera agonistica, arriverà settima e gareggerà sotto i colori di una Germania finalmente riunificata.
Anche la Harding si troverà, in quella occasione, a sua insaputa, alla fine di una carriera agonistica troppo breve e si esibirà con una prestazione deludente conquistando solo un ottavo posto. E, soprattutto, sarà immischiata nel crimine commesso ai danni della sua diretta avversaria, Nancy Kerrigan, aggredita dopo una sessione di allenamento ai Campionati Nazionali dello stesso anno.
Sapore di sale
photodrome di Loris Rizzo
Durante l’estate del 2017, il fotografo Loris Rizzo ha girato alcune spiagge siciliane, cercando di catturare l’essenza della stagione calda dell’isola, però con uno sguardo del tutto personale, un occhio critico al particolare. Scatti dai colori che sembrano sbiaditi, flash di istanti che gli italiani conoscono molto bene, ma osservati da un’angolatura atipica.
Cosa riusciamo a fare durante un sogno lucido?
di Margherita Seppi
È già accaduto almeno un centinaio di volte.
Sono sul tetto di casa. Casa mia è la più alta del paese, la supera solo il campanile della chiesa, lo dico sempre a scuola ai miei amici. Ho otto anni.
È estate. È sempre estate quando succede. Io indosso i pantaloncini corti e una maglietta gialla, ho i boccoli biondi che mi avvolgono fino alla vita, cammino decisa fino alla grondaia e guardo giù. Vedo la lamiera del tetto della veranda luccicare, una decina di metri più in basso. Chissà come scotta, con il sole che batte così forte. Più sotto c’è il terrazzo. Il pallone da calcio di mio fratello rotola lento in un angolo, adesso mi accorgo che c’è un filo di vento, mi sposto una ciocca di capelli dalla faccia. Al piano terra, che dà sulla strada, c’è il negozio dove lavora mia mamma, ogni tanto lei esce a spazzare le foglie del gelso centenario che domina in giardino.
Ecco dove voglio finire, là di fronte al negozio, là vicino al gelso.
Torno indietro fino alla cima del tetto e prendo una bella rincorsa, devo superare la veranda e devo superare il terrazzo se voglio arrivare fino in fondo.
Gli anni in cui eravamo liberi e con i capelli al vento
di Alessandro Borscia
Illustrazioni di Valentina Salvatico
Questo è il racconto di un’esperienza personale, basato su fatti realmente accaduti, anche se lontani nel tempo e sfocati negli anni trascorsi, fino al punto che non riesco a dare un volto e un nome alle persone. Si tratta di alcuni ricordi, chiari come lampi nella mia memoria. Tutta la vicenda si svolge nei cinquanta giorni che vanno dal 1 luglio al 20 agosto 1985.
Il 1985 è stato il mio primo anno all’Università, a Firenze. Nell’estate 1984 avevo preso il diploma di perito meccanico presso l’Istituto Tecnico Industriale Ponzio Porciatti di Grosseto. Mi piacevano la matematica, la meccanica, la fisica, ma da tre o quattro anni avevo iniziato a fare viaggi, prima brevi, di qualche giorno con la Vespa, poi sempre più lunghi, in treno e in autostop in giro per l’Europa. Stavo scoprendo che mi piaceva viaggiare e conoscere culture diverse.
M’iscrissi quindi alla facoltà di Lingue e Letterature straniere a Firenze, pensando appunto di imparare a padroneggiare più idiomi possibili. Non mi sarei mai immaginato di non mettere mai piede in un laboratorio linguistico, nonostante i miei genitori pagassero le tasse per averne uno. Mi appassionai infatti, intanto, alla letteratura tedesca, a Schopenhauer, a Nietzsche, all’espressionismo e va bene così. Per le conoscenze linguistiche dovevamo pensarci da noi, tanto più che le lettrici madrelingua continuavano a ripeterci: ”Non pensate di venire all’esame senza essere mai andati in Germania”. Anche l’Austria andava bene. Ad ogni modo, io compresi ben presto, anche grazie al suggerimento di alcuni colleghi studenti, che bisognava scegliere una lingua difficile in cui laurearsi, se si voleva sperare in un qualche futuro lavorativo. Io scelsi il tedesco.
L’immagine di copertina è tratta dal Photodrome di Guido Borso, apparso su Yanez a febbraio 2018.
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