Cronaca

‘Ndrangheta, otto condanne su dieci confermate in Cassazione per i Pesce di Rosarno

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I giudici hanno accolto solo i ricorsi di Ilenia Bellocco e quella di Domenico Fortugno per i quali si torna in Corte d’appello a Reggio Calabria

Otto di rigetti su 10 in Cassazione per gli imputati nel processo contro la cosca Pesce di Rosarno denominato “Califfo”. I giudici della Suprema Corte hanno accolto solo due ricorsi, annullando con rinvio le posizioni di Ilenia Bellocco (difesa dagli avvocati Guido Contestabile e Giuseppe Nardo), condannata a 9 anni e mezzo dai giudici reggini, e quella di Domenico Fortugno (avvocato Michele Novella), per il quale il nuovo processo in Corte d’appello a Reggio Calabria servirà solo per la riquantificazione della pena di 3 anni e sei mesi, inflittagli in secondo grado.

Le condanne Diventano così definitive le condanne per Giuseppe Pesce (10 anni), marito della Bellocco, Maria Grazia Spataro (2 anni), Demetrio Fortugno (2 anni); Biagio Delmiro (10 anni), Rocco Messina (9 anni), Saverio Marafioti (10 anni), Domenico Sibio (9 anni e sei mesi) e Carmela D’Agostino (2 anni).

Il “pizzino” del boss Tutto partì dal “pizzino” sequestrato in carcere al boss Francesco Pesce e dalla dichiarazioni di Giusy Pesce e Marica Concetta Cacciola. Il 9 febbraio 2012 scattò il blitz contro 14 persone, ritenute vicine alla cosca Pesce di Rosarno, quattro delle quali sono state assolte in appello dopo la pensante condanna in primo grado.
La sera del 9 agosto 2011, venne catturato Francesco Pesce dopo un anno e mezzo di latitanza. Il giovane boss si nascondeva un bunker. La sera di due giorno dopo, Francesco Pesce tentava di consegnare ad un altro detenuto rosarnese un biglietto intercettato dalla polizia penitenziaria del carcere di Palmi.

I fedelissimi di “testoni” Il testo del biglietto scritto dal giovane boss venne diviso dagli inquirenti in quattro sezioni corrispondenti ad altrettante direttive, la più importanti delle quali era il passaggio del testimone al fratello e gli uomini che dovevano proteggere la sua latitanza: «Rocco Messina, Pino rospo, Muzzupappa Ninaredo, Franco Tocco, Danilo, Paolo Danilo, fiore per mio fratello». Pesce cosciente che avrebbe dovuto scontare vari anni carcere, passava il testimone all’unico maschio libero della sua famiglia – suo fratello Giuseppe, latitante – al quale cedeva il comando della cosca (“fiore per mio fratello”), affiancandogli una ‘ndrina di presunti fidatissimi.

 

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