Cronaca

‘Ndrangheta tra il Crotonese e Catanzaro, la Procura distrettuale chiede quattro condanne

aula_di_giustizia-jpg.jpg

Pene comprese tra i 20 e i 5 anni di reclusione sono stati chiesti dalla Dda di Catanzaro per affiliati e sodali al clan Grande Aracri, coinvolti nell’inchiesta Kyterion. Stralciata la posizione di Altilia

di GABRIELLA PASSARIELLO

Condanne a pene comprese dai 20 anni ai 5 anni sono state chieste dalla Dda di Catanzaro per quattro imputati , considerati dagli inquirenti affiliati e sodali della cosca di Cutro, agli ordini del boss Nicolino Grande Aracri, accusati a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso e di estorsioni, tentate e consumate coinvolti nel maxi blitz antimafia Kyterion, che ha dato il via all’ operazione gemella nel nord Italia, nome in codice Aemilia. Al termine di una requisitoria fiume in cui il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e il sostituto procuratore Debora Rizza hanno ripercorso gli atti di indagine e i capi di accusa contestati ai singoli imputati, i magistrati della distrettuale hanno invocato ai giudice del Tribunale collegiale, presieduto da Giacinta Santaniello; 20 anni di carcere per Gennaro Mellea detto Piero; 10 anni per Roberto Corapi; per Alex Schicchitano 12 anni di carcere e per Esterino Peta 5 anni e 5mila euro di multa. Il Tribunale collegiale ha stralciato la posizione di Giuseppe Altilia per consentire l’audizione di un teste. Il processo è stato aggiornato al prossimo 29 gennaio, giorno in cui avranno inizio le arringhe difensive dei legali Saverio Loiero, Giovanni Merante, Salvatore Staiano, Gregorio Viscomi e Dario Gareri. Decine le estorsioni ricostruite dalla Direzione distrettuale Antimafia del capoluogo calabrese e che riguardano i territori di Crotone e Catanzaro, dove la cosca aveva esteso i suoi interessi.

Le dichiarazioni del pentito Santino Mirarchi hanno poi svelato nel corso del processo, ulteriori retroscena sulle attività estorsive compiute in nome degli Arena, agli incontri al Parco della Biodiversità al racket messo in atto alla Cittadella Regionale. Le estorsioni messe in atto dal collaboratore di giustizia per conto degli Arena risalgono al 2014, sebbene l’ “amicizia” con il clan di Isola Capo Rizzuto risale al 2002- 2003. Una famiglia di ’ndrangheta che avrebbe il compito di raccogliere tutti i soldi delle estorsioni ricavate nella zona di Catanzaro e provincia, almeno da quando il clan dei Grande Aracri sarebbe stato “fuori gioco”, perché tutti in galera. Ad agire per conto dei Grande Aracri sarebbe stato Piero Mellea, l’elettricista di Siano, il responsabile su Catanzaro, carica conferitagli da Nicolino Grande Aracri nel 2009. Il pentito riferisce in videoconferenza di aver conosciuto Mellea due, tre mesi prima che lo arrestassero. “L’ho conosciuto a casa sua dove ha un box di cavalli. Tramite i cavalli lui mandava le ambasciate ad Ernesto, il fratello di Grande Aracri”. A casa di Mellea era andato con Nico Gioffrè. Fu proprio lui a presentarglielo dicendo che “adesso gestisce tutto lui su Catanzaro” su mandato di Grande Aracri, “che gli ha conferito l’autorità sulle estorsioni, ma solo sulle imprese grosse”. Mellea, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia aveva il compito di raccogliere i soldi per poi destinarli alla famiglia Grande Aracri. “ Mellea ha una villetta tutta recintata piena di telecamere. Ricordo- continua Mirarchi- che quando siamo arrivati ha detto: “Ragazzi un attimino che vado a cancellare le telecamere, perché se viene qualche perquisizione poi risulta che ci siete voi”.

Gli incontri al Parco e l’ordine di non rubare le auto al Pugliese. In base alle dichiarazioni del pentito, il bar ubicato all’interno del Parco della Biodiversità sarebbe di proprietà di Mellea e Corapi. Una zona dove “la legge” non doveva metterci piede, doveva rimanere un posto tranquillo per non destare sospetti di sorta.  “Corapi lo conosco da parecchio, perché lui insieme a Piero Mellea hanno preso il bar a Catanzaro. Lo conosco perché lui vende le cialde del caffè. Tramite mio zio Cosimino il Tubo, poi lui ha avuto pure un ingrosso di bibite e facevano incontri dove parecchie volte lui gli mandava le ambasciate tramite Piero Mellea” inviato da Nicolino Grande Aracri “per non rubare le macchine all’ospedale Pugliese, di non dare fastidio alle imprese”. Messaggi che risalgono al 2005 – 2006, inoltrati da Grande Aracri a Mellea e questi a Corapi, esecutore di tutte le disposizioni. “Mellea e Corapi hanno preso insieme il bar che c’è sotto l’ospedale, quello che c’è al Parco, anche se risulta come nome alla moglie o alla figlia di Corapi, ma è di tutti e due. Lo so perché avevo un ingrosso di bibite e Corapi è venuto più volte da me per le bibite, pure perché c’erano i nomadi che rubavano le macchine là la domenica, il sabato, quando andavano a parcheggiare. Quindi si doveva finire anche questa storia a non rubare più le macchine, perché là dovevano stare tranquilli in modo che la legge non stesse là tutti i giorni, perché là per loro era pure un punto di incontro, all’Agraria. Era quindi venuto a portare anche questi messaggi di evitare di rubare macchine perché io avevo molta influenza nelle comunità rom di Catanzaro, parecchi nomadi io li rifornivo. Gli facevo fare qualche lavoro, per esempio più volte rubavano camion, gli dicevo “vai là a rubare là a quell’impresa”, bruciavano qualche macchina. Qualunque lavoro gli chiedevo, loro la facevano sempre. Io so che quel bar è di Mellea e di Corapi: “ quando sono andato al bar di Corapi c’era il fratello di Piero Mellea e ho avuto una discussione con lui a Catanzaro, dove non volendo mio cugino gli aveva poco poco squasciato la macchina, quindi mi ha detto lui: “ci vediamo al bar di Corapi, che ne parliamo là. Quando arrivammo là, Corapi mi disse personalmente: “Senti, vedi che è la stessa cosa che stai parlando con me” mi disse, perché so che… mi disse: “ perché Piero è in società pure cu mia, non risulta, non risulto neanche io” questo lo diceva Corapi. Chiudiamola qua questa situazione e l’abbiamo chiusa qua. Infatti più volte il fratello di Piero Mellea mi invitava la domenica ad andare là al bar e a mangiare là con i bambini e farli giocare al Parco dell’Agraria.

Le estorsioni alla Cittadella regionale. Non solo Mellea, ma anche Corapi, secondo le dichiarazioni di Mirarchi, aveva il compito di raccogliere i soldi provento delle estorsioni sulle zone di Catanzaro. “Lui e Piero Mellea personalmente sono andati alla costruzione che hanno fatto alla Cittadella regionale a Germaneto e hanno chiuso l’estorsione. Lo so perché quando siamo subentrati noi, c’era un escavatore là e quando ho detto a Nico “facciamo pure qua alla Cittadella” mi ha detto Nico: “No, non la possiamo fare perché è già stato chiuso e ha mandato i soldi a Nicola Grande Aracri. Questa l’ha chiusa Piero Mellea e Roperto Corapi”. Il mio referente era Nico Gioffrè e più di una volta è stato mandato da mio zio Cosimino U’ Tubo dicendogli: “Cosimi, dobbiamo aspettare che ora i soldi della Cittadella, come arrivano tu lo sai che Nicola fa le cose uguali e manda i soldi, però sti soldi fino al 2016 dovevano essere l’ultima tranche, perché l’importo avevano chiesto l’estorsione di un milione di euro”.

I tronconi dell’inchiesta. Due i tronconi della maxi operazione della Dda di Catanzaro: il 28 gennaio 2015 scattarono trentasette arresti, un anno dopo altri 16 arresti. Risale al 5 novembre 2016 la sentenza del Tribunale di Catanzaro per coloro che hanno optato per il rito abbreviato. Il gup aveva sentenziato 25 condanne per un totale di 212 anni di reclusione e 3 assoluzioni.

Più informazioni