Cronaca

Il pentito “spiega” all’antimafia come funziona la guardiania degli Alvaro in Aspromonte

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Canale: “La vittima “viene strozzata” perché la tangente aumenta a dismisura fino a quando la stessa viene indotta a vendere la proprietà”.

“La vittima “viene strozzata” perché la tangente aumenta a dismisura fino a quando la stessa viene indotta a vendere la proprietà. Per altro non si tratta di vendita ma di cessione”. Eccolo il paradigma usato dai membri della cosca Alvaro per imporre la guardinia ai grandi possidenti dell’Aspromonte. Un’estorsione camuffata da protezione prima di passare, in moltissimi casi, all’accaparramento del fondo agricolo da parte dei “signori della montagna”. È il collaboratore di giustizia Simone Canale a riferire al sostituto procuratore della Dda Giulia Pantano i nomi e le metodologie usate dalla potente famiglia di ‘ndrangheta di Sinopoli per vessare i proprietari terrieri.

I “signori dell’Aspromonte” Una vessazione che ha radici lontane, se si guardano le date delle intimidazioni alla famiglia Luppino iniziate negli anni ’70 del secolo scorso e che senza soluzione di continuità sono proseguite fino al 2018. Canale sostiene di avere saputo dei soggetti deputati a praticare la guardiania sull’Aspromonte da Antonino Penna, pezzo grosso del clan Alvaro detenuto in un carcere del nord e “garante” di Canale per l’entrata nella cosca sinopolese. “Mi spiegò – spiega il collaboratore – che il sistema della guardiania prevedeva che i terreni fossero apparentemente “custoditi e protetti” dallo ‘ndranghetista, ma che gli stessi vengono poi utilizzati dalla stessa ‘ndrangheta che porta i propri animali a pascolare e su quei fondi si comporta da “padrona”. Ricordo che Penna mi disse, a tal proposito, che tra le vittime di Alvaro Nicola vi era Rossi Marco che pagava una tangente da almeno 20 anni”.

La paura E proprio Rossi è stato sentito dal pm Pantano nel processo che si sta celebrando davanti al Tribunale di Palmi e nel quale sono Antonio e Nicola Alvaro e Natale Cutrì. I tre sinopolesi sono accusati di associazione mafiosa e estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Dopo due ore di testimonianza, però, Rossi ebbe serie difficoltà a ammettere che i pagamenti corrisposti agli Alvaro fossero in realtà una estorsione che aveva come giustificazione la paura nei confronti della ‘ndrangheta e di quel cognome “pesante”. “La tangente del Rossi – aggiunge Canale – era infatti inizialmente quantificata in lire e veniva corrisposta ogni tre mesi. Ammontava ad 1 milione inizialmente, per poi essere imposta non più trimestralmente ma mensilmente. Con l’ingresso dell’euro, mi precisò “noi non facciamo ufficio valuta. Se sono in lire, diventa euro. Penna mi disse che le vittime non denunciano per paura”. E in riferimento ancora a Rossi: “Ricordo solo il particolare dettomi da Penna che Rossi aveva molte proprietà terriere nella piana di Gioia Tauro ed era imprenditore agricolo. Penna mi disse che “oltre quelli poi gliene pigliamo anche altri””.

Ricchi e potenti Canale entra poi nel merito del sistema della guardiania, poche frasi che fanno intuire come gli Alvaro da un piccolo centro dell’Aspromonte, dove i grandi appalti pubblici passano molto lontano, sono riusciti a diventare ricchi e potenti. “Penna mi disse chiaramente – afferma Canale – che, anche grazie al sistema delle guardianie, gli Alvaro si erano impossessati di moltissimi terreni””. Terreni piantati a oliveto e sui quali sono legati i lucrosi fondi comunitari per l’agricoltura. “Penna mi disse – continua il collaboratore – che la guardiania di un fondo è un contratto che si fa con la “stretta di mano” ma poi resta per la vita e se uno pensa di non pagare, il giorno dopo si verifica un atto di danneggiamento”. La guardiania di un fondo, secondo quanto raccontato da Canale, “viene gestito in genere da più ‘ndranghestisti, perché se uno viene arrestato, l’altro interviene per avere la corresponsione della tangente dalla vittima, che così paga senza soluzione di continuità indipendente dalle vicende giudiziarie di chi la guardiania ha imposto”.