Cronaca

Autobomba nel Vibonese, l’ombra della ‘ndrangheta nell’attentato di Limbadi (VIDEO)

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Emergono nuovi dettagli sulla violenta esplosione costata la vita a Matteo Vinci. Il padre fu vittima lo scorso ottobre di un’aggressione messa in atto da più persone. Il caso seguito dalla Dda di Catanzaro e Gratteri spedisce a Vibo i suoi uomini

di MIMMO FAMULARO

Un attentato in pieno giorno. Un’esplosione che ha fatto tremare addirittura le case del centro abitato a Limbadi. Il boato della bomba che ha ucciso Matteo Vinci e ustionato gravemente il padre Francesco è stata avvertito a centinaia di metri. Teatro di quella che sembra una scena da guerriglia è stata una strada interpoderale che collega le frazioni di San Nicola de Legistis e Motta Filocastro.

L’attentato. La Ford Fiesta saltata in aria è ridotta ad un cumulo di lamiere. All’interno è morto carbonizzato Matteo Vinci, 43 anni, informatore farmaceutico ed candidato alle ultime elezioni comunali di Limbadi. Aveva trascorso in campagna insieme al padre le ultime ore di vita. Insieme si sono messi in auto per raggiungere casa ed insieme sono saltati in aria. Matteo, che era alla guida dell’auto, è rimasto intrappolato dalle fiamme seguite all’esplosione. Il padre è invece riuscito a scendere e a rotolarsi nell’erba per spegnere il fuoco che stava avvolgendo il proprio corpo. Con le ultime forze ha tentato disperatamente di salvare il figlio e di aprire la portiera del veicolo. Tutto inutile. Come inutili si sono rivelati i soccorsi dell’equipe del 118 e l’intervento dei vigili del fuoco. Matteo Vinci è morto dilaniato dalle fiamme tra le lamiere dell’auto mentre il padre Francesco è stato dapprima trasportato all’ospedale di Vibo e poi al Centro grandi ustionati di Palermo. La prognosi resta riservata, ma il 73enne è vigile e non è in pericolo di vita. Ha riportato ustioni di primo e secondo grado alle gambe ma probabilmente riuscirà a cavarsela.

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L’ombra della ‘ndrangheta. Sono tanti gli aspetti da chiarire in una vicenda che presenta allo stato diversi interrogativi. Innanzitutto dove e quando è stata collocata la bomba che ha fatto saltare in aria l’auto. L’ipotesi degli inquirenti è che l’ordigno possa essere stato collocato sotto la macchina mentre i due Vinci erano intenti a lavorare nei campi. Altra domanda: la bomba è stata azionata da un congegno a distanza oppure a tempo? E, ancora, perché un attentato così clamoroso e dalle modalità tipicamente mafiose? Massimo riserbo degli investigatori ma su quanto accaduto nella giornata di ieri in località “Cervulara” si addensa l’ombra della ‘ndrangheta anche se Francesco e Matteo Vinci non hanno nulla a che spartire con la criminalità organizzata e non risultano precedenti penali per mafia. Limbadi, però, è uno dei territori a maggiore densità criminale ed è anche la “roccaforte” di uno dei clan più potenti quale quello dei Mancuso. Per il momento il caso resta alla Procura di Vibo che sta coordinando le indagini, ma l’attenzione della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro è altissima con il procuratore Nicola Gratteri e il suo vince Giovanni Bombardieri che seguono da vicino l’evolversi della vicenda, informati costantemente dal Comando provinciale dei carabinieri ed, in particolare, dal Nucleo investigativo diretto dal maggiore Valerio Palmieri. Ieri pomeriggio a Limbadi hanno inviato il sostituto procuratore Andrea Mancuso che ha lavorato in stretta sinergia con i colleghi della Procura ordinaria Caruso e Di Toro. Il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri ha partecipato invece al Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica convocato dal prefetto Guido Longo.

Raffica di perquisizioni. Sul posto, immediatamente dopo l’attentato, sono giunti il gruppo cinofilo con i cani molecolari, gli artificieri e i Cacciatori del Gruppo operativo carabinieri che hanno ispezionato tutta la zona circostante a caccia di elementi utili all’indagine. In serata i militari dell’Arma hanno predisposto una serie di attività e di perquisizioni nell’ambito delle quali è stato tratto in arresto per detenzione illegale di un’arma da fuoco Domenico Di Grillo, 71 anni, cognato dei Mancuso. L’uomo è stato trovato in possesso di un fucile di provenienza illecita e di 46 cartucce per la stessa arma.
L’arresto non ha una connessione diretta con l’attentato di ieri. Si tratta, comunque, di un vicino di casa delle vittime dell’autobomba, che già nel 2014 era stato arrestato per una violenta rissa con i Vinci, finita a bastonate per via di alcuni terreni confinanti contesi dai due gruppi familiari. Domenico Di Grillo è anche cognato dei boss della ‘ndrangheta Giuseppe e Pantaleone (detenuti), Diego e Francesco.

La lite con i Mancuso.  I carabinieri stanno valutando anche la possibilità di un collegamento tra l’uccisione ieri di Matteo Vinci e la lite per motivi d’interesse che la vittima ed il padre ebbero nel 2014 con Rosaria Mancuso, lo stesso Di Grillo ed altri esponenti della cosca Mancuso. Francesco Vinci fu vittima lo scorso ottobre di un’aggressione messa in atto da persone nei confronti delle quali sono in corso le indagini dei carabinieri. L’episodio si verificò a breve distanza dal luogo in cui è avvenuto l’attentato di ieri, in prossimità del terreno della famiglia Vinci attiguo a quello dei Di Grillo-Mancuso. Proprio sulla delimitazione del confine tra i terreni è in atto da tempo una disputa tra la famiglia Vinci e quella dei Grillo-Mancuso che sarebbe stata la causa scatenante della rissa avvenuta nel 2014 che vive contrapposti, da una parte, Francesco e Matteo Vinci e, dall’altra, Rosaria Mancuso, sorella dei capi della cosca, ed il marito Domenico Di Grillo. I contrasti di vicinato rappresentano una delle ipotesi che i carabinieri, coordinati dai maggiori Dario Solito e Valerio Palmieri, stanno valutando per risalire al movente dell’attentato di ieri.

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