Cronaca

Così la ‘ndrangheta riforniva il “fast food dello spaccio” nelle città del Nord: 23 arresti (NOMI)

sequenza-108-immagine005-2.jpg

Smantellata una rete dedita al traffico di droga al cui vertice c’era un pregiudicato originario di Platì e considerato il capo della società di Volpiano, nel Torinese

Undici arresti in flagranza, dei 23 totali (di cui 16 in carcere, 6 agli arresti domiciliari ed 1 all’obbligo di presentazione) oltre 300 chili di droga sequestrati, 2 pistole, 2 fucili e oltre 8.000 euro circa in contanti. E’ il bilancio di una complessa operazione dei carabinieri di Milano, cominciata nel dicembre del 2015 e ancora in itinere, che ha svelato una rete di traffico di stupefacenti al cui vertice c’era Antonio Agresta, già condannato per associazione a delinquere: originario di Platì, nel Reggino, era considerato il capo della società di Volpiano (Torino).

Fast food dello spaccio. L’indagine è partita raccogliendo dettagli da altri filoni sviluppati sul territorio di Milano e di altre città del nord (e l’esecuzione si è infatti snodata tra Como, Monza e Brianza, Novara, Reggio Emilia, Savona, Torino e Varese). I primi ad essere coinvolti sono stati due rapinatori milanesi, Yari Viotti e Davide Graziano, noti perchè autori di rapine in banche della città travisati con una maschera (l’indagine si chiamo’, appunto, “The Mask”), accusati del tentato omicidio di un carabiniere nel novembre 2015: nel box in uso a loro i militari del nucleo investigativo milanese hanno trovato fucili e canne mozze e pistole con matricole abrase, oltre a due chili tra cocaina e marijuana. Questa droga, stando alle ipotesi investigative, serviva a pagare in parte l’attività dei rapinatori, ed era loro fornita da Michele Antonino, 41enne di Bollate. Figura centrale dell’indagine, insieme alla madre, Eleonora Franzoso, Antonino aveva messo in piedi nel suo palazzo un “fast food dello spaccio”, in cui, grazie ad un buco nella recinzione, gli assuntori si introducevano nello stabile e compravano le dosi.

Il ruolo della ‘ndrangheta. “L’attività cominciava alle 7 del mattino e si concludeva alle 23” si legge nell’ordinanza, ed era la madre, insieme ad una vicina di casa (Rosa Pittino definita “la vecchia”) ad “occuparsi del controllo di tutta l’area circostante al complesso immobiliare per garantire che l’attività illecita”. Fra i fornitori di Antonino c’erano i fratelli Barbaro: Antonio e Domenico, definiti dal maggiore Michele Miulli, che ha guidato le indagini “trafficanti di professione, molti accorti nel non farsi individuare”. I due, anche loro originari di Platì (Reggio Calabria), operavano soprattutto nella zona di Cesano Boscone. Erano loro il collegamento con Agresta, già processato a Torino, e preso dai carabinieri in questa operazione durante un periodo in cui stava scontando misure alternative. Le indagini hanno documentato grossi movimenti di droga proveniente dal Marocco, e passati da Granada, in grossi magazzini di Durcal, in Andalusia. Grazie ad un’intercettazione in cui Agresta parlava con i Barbaro di “quattro pacchi di quella spagnola” è stato possibile certificare che nonostante le misure detentive Agresta continuava a gestire traffici. L’altro canale di rifornimento dello spacciatore Michele Antonino era invece rappresentato da Giuseppe D’Aiello, originario del casertano e legato ad Alan Spada (noto rappresentante criminale di etnia rom, già arrestato nell’ambito di diverse operazioni nei campi nomadi di via Negrotto); anche in questo caso c’era la madre, Teresa Sainovich, a reggere l’attività criminale durante il periodo di detenzione del figlio. 

LEGGI QUI | Cocaina della ‘ndrangheta venduta a Milano e in tutto il nord Italia: 23 arresti (VIDEO)

Più informazioni