Georgia e le altre al fianco dei migranti: «Così capiamo prima di giudicare»

di Marta Serafini

Georgia quel giorno di tre anni fa non lo sapeva ancora. Ma vedere coi propri occhi, a volte, ti cambia. «Ero arrivata alla stazione e mi erano venuti a prendere i miei. Nel porticato e sul prato davanti all’ingresso c’erano persone sdraiate dappertutto. Sembrava una scena di guerra. Ma al momento non mi sono fatta troppe domande». Georgia in quei giorni è in vacanza. A Como in quelle stesse ore - siamo all’inizio di luglio 2016 - è iniziata quella che i giornali chiamano l’«emergenza migranti». Centinaia di uomini, donne, bambini e minori non accompagnati respinti alla frontiera di Chiasso si sono accampati in città non sapendo dove altro andare. Georgia a quell’epoca ha un lavoro come segretaria in uno studio medico.

Avendo del tempo libero inizia a fare volontariato alla parrocchia San Martino di Rebbio in provincia di Como che dà assistenza ai migranti. «Aiutavo a servire i pasti. L’impegno cresce, Georgia incontra i migranti, parla con loro, ascolta le loro storie. Arrivano da tutto il mondo, Africa per lo più, ma anche Yemen, Siria, Afghanistan. «Mi sono resa conto di quanto sia importante spiegare loro quali siano i loro diritti e cosa possano fare per superare le difficoltà». Georgia inizia a collaborare con Medici Senza Frontiere, che nel frattempo ha avviato un progetto nella zona e apre uno sportello insieme a un gruppo di avvocati per l’assistenza legale. Fino a quando la parrocchia e il gruppo di legali le offre un impiego retribuito. «Da volontaria mi sono trasformata in un’operatrice».

Ma aiutare i migranti non è solo un lavoro, in senso stretto. «Ogni tanto capita che chi mi sta intorno non capisca la mia scelta. Allora cerco di spiegare. E di dire “vieni a vedere con i tuoi occhi”». Vedere, significa anche ascoltare le parole di chi ha subito torture e abusi. Come quelle di un ventenne della Liberia, un ex bambino soldato, che soffre di disturbi legati allo stress post traumatico. Dolori e ferite che è difficile curare anche per chi è formato. «Con un collega siamo stati con lui h 24. Poi un giorno dovevamo accompagnarlo a una visita psichiatrica. Ma lui è arrivato tardi all’appuntamento e noi ci siamo arrabbiati preoccupati del fatto che il ritardo mettesse a rischio la sua pratica per l’asilo». Accettare i propri limiti, imparare che non si può risolvere sempre tutto. Georgia cambia completamente punto di vista «Da quella volta e ne abbiamo perso le tracce, non sappiamo più dove sia. E’ stata una sconfitta ma oggi ho imparato che prima di giudicare bisogna capire».

Georgia non è la sola ad aver deciso di fare questa scelta. Lorena,Elena, Jessica, altre donne italiane che hanno deciso di dare assistenza ai rifugiati, mentre la «crisi dei migranti» è diventata uno degli argomenti più caldi del dibattito politico. Ma i palazzi del potere sono lontani anni luce da quel piazzale davanti alla stazione, dalle cicatrici dei bambini e dei profughi. Così come sembrano estranei a queste donne.

E mentre la temperatura del dibattito sale e il paese si polarizza tra «buonisti» e «sovranisti», a raccontare queste storie di impegno è «Dove Bisogna Stare», film-documentario diretto da Daniele Gaglianone, scritto con Stefano Collizzoli, prodotto da ZaLab nelle sale da oggi, con un tour di proiezioni “evento” organizzate in tutto il territorio nazionale. A supportare il film, Medici Senza Frontiere, ong finita sotto attacco insieme a tutto il mondo del no profit e della cooperazione, perché, come spiega Claudia Lodesani, medico infettivologo e presidente di MSF in Italia «in un periodo in cui chi opera per salvare le vite di persone costrette a fuggire dalla guerra e dalla miseria subisce forti pressioni e chiari episodi di criminalizzazione, questo documentario vuole cambiare la narrazione dominante sulla percezione che hanno gli italiani sulla presenza di persone migranti nel nostro Paese».

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