Rachel salva per una bugia: i Miracoli imponderabili ad Auschwitz

Christina Ciszek
Rachel Oschitzki, foto di Konrad Rufus MuellerRachel Oschitzki, foto di Konrad Rufus Mueller
Rachel Oschitzki, foto di Konrad Rufus Mueller

Ci sono rimaste poche vittime dei campi di concentramento tedeschi che possono ancora rendere una testimonianza. Una di queste è Rachel Oschitzki, una dei 25 protagonisti del libro Miracoli imponderabili (Unfassbare Wunder) di Alexandra Föderl-Schmid, appena uscito in Germania per i tipi di Boehlau. Storie tragiche e commoventi, 74 anni dopo la liberazione dal nazismo, che mandò a morte 6 milioni di ebrei. Storie che ci mostrano anche la forza incredibile dei sopravvissuti

Nata 1928 a Krasna Hora nella Repubblica Ceca, Oschitzki ci mostra tutto il vigore dei suoi 90 anni, quando racconta della deportazione ad Auschwitz nel 1944, assieme alla sua famiglia. Aveva 15 anni e per due volte evitò la morte per un soffio. La prima volta subito dopo l´arrivo alla rampa del campo di concentramento di Birkenau. Teneva in braccio il figlio biondo di sua sorella, quando un ufficiale medico le chiese se il figlio fosse suo. Rispose di no e il medico la invitò a seguirlo. Lei era contentissima perché pensava che sarebbe andata a scuola. Non c’era nessuna scuola, ma quella chiamata fu provvidenziale: «Il medico nazista mi ha salvato la vita». Tutti gli altri infatti, compresa sua sorella con i due bambini, vennero mandati direttamente alle “docce”, cioè nelle camere a gas.

Poco dopo durante un tipico appello, procedura che veniva ripetuta due volte al giorno, una guardia delle SS voleva separare le minorenni poco adatte al lavoro pesante, Rachel stava già per alzare la mano, quando Gabi, una prigioniera ceca, le sussurrò: «Fermati. Ricordati bene: hai 18 anni, adesso e nel futuro». Le minorenni infatti venivano gassate.

Rachel Oschitzki è sopravvissuta ad Auschwitz e poi anche al lavoro forzato nella fabbrica delle munizioni di Lippstadt, in Germania. «Al confronto col lager - spiega Oschitzki - Lippstadt era gradevole. Ci davano più da mangiare». Oggi Rachel prova un senso di amarezza, pensando al comportamento dei tedeschi locali dopo la sua liberazione: i soldati russi avevano chiesto loro di occuparsi delle ragazze affamate, ma quelli non mostrarono alcuna compassione o disponibilità. Virtù che purtroppo mancarono anche agli occupanti britannici, i quali proibirono l’attracco della nave Exodus in Palestina nel 1947, carica di profughi ebrei, rimandando tutti in Germania. Anche Oschitzki era a bordo.

Il secondo viaggio non fallì e la “sionista” Rachel arrivò finalmente in Israele, dove visse per otto anni. Nel 1955 ritornò in Germania, il clima era troppo torrido in Medio Oriente. Ma conservò Israele nell´anima. Qual è il suo messaggio, signora Oschitzki?. «Vedo emergere un nuovo antisemitismo. La cronaca su Israele è piena di schemi, stereotipi, pregiudizi, sia a destra che a sinistra». La gioventù non sa molto del nazionalsocialismo, e Oschitzki non si fa illusioni: «La gioventù dovrebbe informarsi, ma senza vivere una vita col senso di colpa». Tutti i protagonisti del libro hanno tra 74 e 105 anni. Tutti raccontano una storia diversa e uguale. Alexandra Föderl-Schmid ed il fotografo Konrad Rufus Müller, per il quale «il libro è stato il suo lavoro più importante», dicono che questi racconti di vita contengono un solo monito: «Mai più. Rimanete vigili».

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