Stadi di gioia

Valeria Palumbo

La prima raffigurazione che abbiamo del tifo sportivo non è edificante: è la rissa tra i fan di Pompei e di Nocera, eterne rivali, che, nel 59 a.C., se le diedero di santa ragione per un incontro di gladiatori. Lo racconta Tacito negli Annales e lo illustra un affresco pompeiano oggi al Mann di Napoli. Ma dietro c’erano prima di tutto ragioni economiche e politiche: i pompeiani erano arrabbiati perché Nocera era stata dichiarata “colonia” dai romani e così Pompei perdeva parte del suo territorio. Molti nocerini rimasero uccisi. Il Senato romano prese una misura ancora oggi adottata: squalificò l’anfiteatro per dieci anni. La decisione fu però revocata dopo pochi anni da Nerone, nel 62.

Tifose portoghesi di calcio nel 2004 - Epa Tifose portoghesi di calcio nel 2004 - Epa

Quella febbre da “amatores”

Gli amatores, come si dice “tifosi” in latino, riebbero la loro arena e Nerone divenne il loro idolo. “Amatores” è una parola rivelatrice. «Quando mi ha detto che dovevamo parlare di tifo e felicità», mi dice Michaela Fantoni, psicoterapeuta, psicologa dello sport, oltre che, per più di vent’anni allenatrice di una squadra femminile di calcio (www.centroelpis.it), «sono stata… felice. Perché la prima cosa a cui associo il tifo è un insieme di emozioni, prevalentemente positive. E molto forti». Lo dice appunto la parola: l’espressione “tifo” deriva dalla radice sanscrita “dhu”, che fa riferimento ad agitare, eccitare, muovere. Il termine greco “thyphos” significa, in particolare, vapore, fumo, ardore, febbre. Manca la componente della felicità.

La psicologa dello sport Michaela Fantoni, al centro con gli occhiali, e la sua squadra di calcio femminile. La psicologa dello sport Michaela Fantoni, al centro con gli occhiali, e la sua squadra di calcio femminile.

Disposti a soffrire

Ma qualsiasi tifoso, di qualsiasi sport, può garantire che la gioia provata per la vittoria della propria squadra o del proprio campione, ha pochi paragoni. «Eppure», chiarisce Fantoni, «c’è una differenza notevole tra i tifosi sportivi e, mettiamo, i fans di una rockstar: decidendo di tifare per una squadra si accetta, implicitamente, la possibilità di stare in ansia e di soffrire. Con una rock star non accade, in genere. In qualche modo, è quello che diceva Kahlil Gibran». Ovvero: «La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera, /E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso, è stato sovente colmo di lacrime. (…) Io vi dico che sono inseparabili. /Giungono insieme, e se l’una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l’altro è addormentato nel vostro letto».

Una felicità sociale

«Questo agglomerato di emozioni e questa disponibilità a esporsi a tutte rende il tifo un fenomeno unico», aggiunge Fantoni. «Se prendiamo gli studi dello psicologo inglese Michael Argyle sulla felicità e il suo nesso con l’essere estroversi e quindi disponibili ad allacciare relazioni sociali», riprende al psicologa, «ci accorgiamo che la sua definizione assomiglia molto a quello di tifo. È una felicità “ sociale” perfino quando si esulta da soli davanti a un televisore, perché include sempre la dimensione del “noi”». Così siamo arrivati al cuore del “miracolo” tifo e perché, dall’antichità, appassionarsi a estranei che giocano a qualcosa (o si fanno del male, ma rispettando regole precise) ci rende così felici.

La psicologa Michaela Fantoni (a destra, nella seconda fila in piedi con la maglia blu) con le atlete della nazionale femminile di canottaggio, nel 2011. La psicologa Michaela Fantoni (a destra, nella seconda fila in piedi con la maglia blu) con le atlete della nazionale femminile di canottaggio, nel 2011.

Il record dei Mondiali di calcio di Russia

Gli ultimi mondiali di calcio, giocati in Russia, hanno riscosso la cifra record di 297 milioni di spettatori in Italia, mentre 20 milioni li seguivano sul web. Eppure la nazionale non giocava. La finale Francia-Croazia, pur disputata nel pomeriggio, ha tenuto incollati davanti agli schermi 11.688.000 spettatori (il 66,5% di chi stava guardando la tv): poiché c’era poco da “soffrire”, è probabile che i più si siano concessi un tifo allegro. In totale si stima che 3,4 miliardi di persone abbiano seguito il torneo. Considerato che gli appassionati di calcio, nel mondo, dovrebbero essere 3,5 miliardi, se lo sono persi davvero in pochi. Significativo, visto che, al 5 agosto 2018, 68 Stati erano coinvolti in conflitti più o meno devastanti.

Tifosi francesi in occasione della finale Francia vs Croazia ai Mondiali di Russia 2018 - Epa Tifosi francesi in occasione della finale Francia vs Croazia ai Mondiali di Russia 2018 - Epa

Passioni da “Primitivi”

Da notare che, per quanto gli esseri umani siano tifosi dalla preistoria (come ricorda allegramente il cartone animato I primitivi, di Nick Park, uscito in Italia nel 2018), e quindi non hanno bisogno di grandi incoraggiamenti, alimentare questa tendenza si rivela un ottimo business. Sempre agli ultimi Mondiali di Russia, la Fifa ha incassato 4,83 miliardi di dollari. Poiché ne ha spesi 2,22 miliardi, se n’è messi in tasca 2,61 circa. E non è l’unica ad averci guadagnato. Ovviamente i tifosi di calcio non costituiscono la sola fonte di affari strabilianti.

Il cartoon “Early Man - I primitivi”, di Nick Park, uscito in Italia nel 2018. Il cartoon “Early Man - I primitivi”, di Nick Park, uscito in Italia nel 2018.

E poi c’è il cricket

Sempre nel cartone animato I primitivi (Early Man) un personaggio, protestando per un fallo, esclama: «Questo non è cricket, Brian! Qualsiasi cosa sia il cricket…». Bene, il cricket è il secondo sport più seguito al mondo con circa 2,5 miliardi di fan. In Italia, dove in teoria si gioca dal 1893 (data di nascita del primo club a Genova), è ancora poco seguito e gli appassionati sono quasi sempre di origine asiatica. Ma altrove è capace di suscitare passioni travolgenti. E ispirare perfino kolossal come il monumentale Lagaan del 2002, circa tre ore e mezzo di film su una partita, al netto dei balletti bollywoodiani.

Una scena del film “Lagaan”, 2002 - Reuters Una scena del film “Lagaan”, 2002 - Reuters

Dall’Impero britannico ad Arkan

In qualche modo Lagaan ci riconduce alla battaglia economico-politica tra pompeiani e nocerini: la posta in gioco, nella storia, sono le tasse e, in sottofondo, il dominio britannico. «Dietro il tifo sportivo si nascondono da sempre motivi sociali e politici che trasformano in nemico il rivale in campo e sugli spalti», avverte Stefano Becagli, psicologo clinico e dello sport (www.stefanobecagli.it). «Pensi all’inimicizia tra le due squadre di calcio di Glasgow, i Celtic, sostenuti dai cattolici, e i Rangers, dai protestanti: religione e calcio sembrerebbero cose così distanti e invece… Abbiamo visto ripetersi il binomio con la politica, e drammaticamente». Fino all’estremo dell’FK Obilić, la squadra di Željko Raznatović, alias Arkan, agente segreto, militare e criminale di guerra serbo. Le curve si erano trasformate in campi di addestramento paramilitari. Anche i gruppi neo-nazisti tedeschi hanno sfruttato alcune tifoserie per formare picchiatori politici seriali. E qui siamo perfino oltre gli estremismi e la violenza raccontata, già nel 1991 da Ricky Tognazzi nel film Ultrà (costato al protagonista, Claudio Amendola, il bando dalla curva sud della Roma).

Claudia Amendola nel film “Ultrà” Claudia Amendola nel film “Ultrà”

Il bambino liberato

«Eppure anch’io lego il tifo a sentimenti positivi», prosegue Becagli. «Il tifo libera, non solo nei maschi, il bambino che è in noi. Quello che in famiglia o sul lavoro non può più esprimersi liberamente. Quello che vuole vincere. Il tifo è uno spazio di libertà. Sociale. E io vedo positivamente il fatto che, tifando per una nazionale sportiva, persone di idee, origini e fedi diverse, si ritrovino unite. Come trascinate da uno stesso fluido». L’insistenza sull’aspetto sociale del tifo è interessante perché, in Occidente, siamo soliti considerare la felicità una questione privata. «Invece», insiste Becagli, «siamo animali sociali. Siamo alla ricerca di passioni comuni, di ciò che ci unisce e che possiamo festeggiare insieme. Seguire un evento sportivo fa emergere la parte primitiva che è in noi, quella emozionale, atavica». Confermando la tesi di Fantoni: «Nei 90 minuti di un incontro di calcio si vivono tutte le emozioni primarie. Così come nel dire “abbiamo vinto!” si condensa la nostra voglia di identità e appartenenza. È un “noi” per interposta persona, ma in quel “noi” proiettiamo tantissime cose. Dopodiché per chi esagera, proprio come per le altre forme di violenza, oltre alla punizione servirebbe una vera educazione all’espressione dei sentimenti e delle emozioni».

Un dettaglio del dipinto “La morte di Giacinto” di Francesco Boneri, allievo di Caravaggio, accanito giocatore di pallacorda: in primo piano, la racchetta. Un dettaglio del dipinto “La morte di Giacinto” di Francesco Boneri, allievo di Caravaggio, accanito giocatore di pallacorda: in primo piano, la racchetta.

I pericoli effetti del tennis

Benché fare il tifo per una squadra è più facile, anche gli sport singoli suscitano grandi emozioni: non a caso il tennis è al quarto posto per numero di appassionati, il ping pong al sesto e il golf all’ottavo, con 450 milioni di fan contro i teoretici (sono sempre stime fatte sul web) 400 milioni del basket. Per inciso, il tennis, o pallacorda come si chiamava, suscitava in passato passioni così intense che il famoso e mai chiarito delitto di cui si sarebbe macchiato Caravaggio è legato a un fallo. Il 28 maggio 1606 il pittore ferì a morte Ranuccio Tomassoni in una rissa che faceva seguito a una partita piuttosto tormentata di proto-tennis. Questo dimostra anche che la scelta dello sport preferito è culturale: prima di vincere i Mondiali del 1934, gli italiani non andavano così pazzi per il calcio. Anzi.

Tifose iraniane di calcio nel 2006 - Ap Tifose iraniane di calcio nel 2006 - Ap

Sotto il velo, il tifo

Corsa, lotta, pugilato e ciclismo sono stati a lungo nel loro cuore e sulle prime pagine dei giornali sportivi. Così come il crescente entusiasmo femminile, soprattutto nei Paesi dove le donne sono più represse, come Iran e Arabia Saudita, ha uno stretto legame con le circostanze storiche. «Io direi che la dimensione culturale emerge nell’espressione del tifo, più che nell’emozione stessa: poter gridare liberamente la gioia per la propria squadra è, per le iraniane e le saudite, un atto di libertà, liberazione e affermazione di sé». La spinta dell’adrenalina è tale, come racconta il film di Jafar Panahi del 2006, Offside (Orso d’argento a Berlino), che le ragazze sono pronte a travestirsi da maschi pur di aggirare i divieti imposti dagli ayatollah. Perché a loro è ancora vietato entrare negli stadi.

La copertina del libro “Tifose” di Marta Elena Casanova (V.P.) La copertina del libro “Tifose” di Marta Elena Casanova (V.P.)

Non proibiscono soltanto gli ayatollah

Nel 2015 il governo iraniano adottò una risoluzione bizzarra: autorizzò soltanto le straniere ad assistere alle partite maschili del Campionato asiatico di pallavolo. La decisione arrivò circa tre mesi dopo la minaccia della Federazione internazionale di pallavolo di impedire a Teheran di ospitare eventi sportivi internazionali, legata all’arresto di Ghoncheh Ghavami, un’attivista per i diritti umani anglo-iraniana. La ragazza era “colpevole” di aver assistito a una partita di pallavolo maschile. Fuori dagli stadi, le iraniane parteciparono a tutti i festeggiamenti e i caroselli d’auto, con un entusiasmo che rivelava una sete di libertà incontenibile. Ma anche la Grecia antica vietava alle donne di assistere ai Giochi di Olimpia, visto che gli atleti gareggiavano nudi. E di certo la storia dell’Occidente è punteggiata, fino a ieri, da surreali divieti imposti a sportive e tifose.

Una scena del film “Sognando Beckham”, 2002. Una scena del film “Sognando Beckham”, 2002.

Sognando Beckham

Però già negli anni Trenta, in parte con lo stesso spirito di emancipazione che caratterizza oggi le tifose medio-orientali, le ragazze accorrevano negli stadi. Ora, come testimonia il saggio di Marta Elena Casanova, Tifose. Le donne del calcio (Odoya), i tabù sono caduti. Non tutti. Ma certo i dialoghi di Sognando Beckham, il film del 2002 di Gurinder Chadha, iniziano a sembrare datati. A cominciare dallo scambio tra Mrs Bhamra e la figlia Jess: «Tua sorella si sta fidanzando e tu sei qui a guardare in tv quello skinhead!», «Ma mamma! È il calcio d’angolo di Beckham!».

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