Aston Martin DB11. La granturismo della svolta

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Ci sono macchine che segnano un prima e un dopo, automobili che separano periodi, epoche, storie. La nuova Aston Martin DB11, recentissima rappresentante dell’aristocratica schiatta di granturismo intitolate a David Brown, è una di queste. Il motivo è presto detto: dalla DB11, primo modello dell’era Investindustrial (Andrea Bonomi, sarebbe), discenderanno le prossime Vantage e Vanquish e tutte le relative declinazioni “Convertible”, oltre naturalmente all’attesissima crossover DBX: il futuro di Gaydon comincia adesso.

Taglio col passato. Non che prima fossero malvagie, le Aston Martin: diciamo che la DB11 ha portato la “bellezza della guida” al livello della raffinata eleganza delle loro linee, congedando definitivamente quella vaga, quasi impercettibile, rozzezza meccanica che le ha accompagnate finora. Come se a Gaydon avessero voluto ridefinire un’estetica della dinamica, sincronizzando tutt’e cinque i sensi sullo stesso pregevolissimo livello. E riuscendo a far apparire agée persino la DB9…

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Licenza di correre. Il risultato, per farla breve, è un’auto che non ti stancheresti mai di guardare né di guidare. A prescindere dal ritmo, dalla maestria di chi impugna il volante, dal momento, dall’umore. Ci sono un tot di cose che mi hanno colpito della DB11. In ordine sparso, la prima è l’assetto. Davanti, la gt inglese è fermissima, precisa e tagliente come un bisturi, così reattiva e pronta che “sente” ogni millimetrica variazione dell’angolo di sterzo. La macchina gira svelta anche nelle curve più strette come se fosse la cosa più normale del mondo. Sostiene Matt Backer, vehicle engineering director, che ora il V12 sta tutto dietro l’asse delle ruote anteriori: lo spiega davanti a una DB11 completamente sezionata, messa lì come per avvalorare le sue parole. Il retrotreno, invece, è più cedevole: vuoi perché lì insistono 608 cavalli e 700 Nm di coppia, vuoi perché la tentazione di esagerare è irresistibile, se il fondo non è più che perfetto finisce che prima o dopo ti arrivi qualche legittimo avvertimento. Soprattutto se piove, tipo quando l’abbiamo guidata noi: la DB11 ti comunica con un certo anticipo sulla necessità di alzare il piede. Tanto feedback e senza perdere un grammo del piacere di guida.

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La seconda è il motore… Ora, da un V12 di 5.2 litri biturbo (accoppiato allo ZF a otto marce, universalmente noto per essere uno dei migliori cambi di sempre) ti puoi aspettare tante cose. Che sia generosissimo, elastico, poderoso, esuberante, esplosivo, eccetera eccetera. Sappiate, eventualmente, che non vi deluderà. Intanto e per cominciare, si porta a spasso quasi due tonnellate di macchina come fosse un foglio di carta in balia del vento. Questa Aston sa andare fortissimo sul serio: è come se avesse due anime, una più aggraziata, elegante, sobria; l’altra sfacciata, aggressiva, brutale. Dipende da come si impostano le mappature e i settaggi delle sospensioni, che sono tre (GT, Sport e Sport Plus). Quello che non t’aspetti è di vedere “gli undici-con-un-litro”, che, fatte le dovute proporzioni, sono un risultato eccezionale. Al volante non te ne puoi accorgere, ma quando vai piano il motore va a sei cilindri (non sempre gli stessi: si alternano sei e sei per mantenere uniforme la temperatura delle singole bancate) e senza neppure far troppo rumore.

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La terza è il confort. Sì, ha senso parlare (anche) della qualità della vita a bordo. Che deve per forza essere al top, per almeno 213.321 ragioni, tanti quanti sono gli euro del prezzo di listino. Ci sono innumerevoli piccole attenzioni che rendono gradevole il tempo trascorso sull’Aston Martin DB11: per dire, le porte, aprendosi, si sollevano verso l’alto (senza sforzo, per di più) per evitare che possano sbattere sui marciapiedi più alti. Più importante ancora il fatto che la si possa guidare per ore e per centinaia di chilometri, su qualsiasi tipo di strada e in ogni condizione meteorologica, senza affaticarsi. Che poi è quello che si chiede a una granturismo di nobile lignaggio: emozioni, piacere di guida e confort. At any speed.

fontea rticolo e foto – quattroruote.it – Carlo Di Giusto