28 novembre 2018 - 11:31

L’imputato attacca: «Due dirigenti dell’Unione islamica volevano soldi»

Fondi dal Qatar, El Joulani: su di me pressioni e minacce. La replica dell’Ucoii: dice il falso, lo denunceremo

di Armando Di Landro

L’imputato attacca: «Due dirigenti dell’Unione islamica volevano soldi»
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«Non dovevo informare nessuno del Centro culturale islamico. Era una mia iniziativa privata e deve essere chiara una cosa, se posso permettermi: la Qatar Charity Foundation a Bergamo conosceva me e solo me, non sapeva niente della città e nemmeno del Centro di via Cenisio»: liquida così l’imputazione di truffa, Imad El Joulani. In oltre quattro ore di deposizione davanti al giudice, il medico giordano respinge senza esitare la ricostruzione dell’accusa, smentendo di aver sfruttato il buon nome del Centro culturale islamico di via Cenisio, di cui era presidente, per incassare 4 milioni e 980 mila euro e destinarli alla sua nuova associazione, la Cib, Comunità islamica di Bergamo. Soldi effettivamente versati dalla Qatar Charity Foundation, passati attraverso l’Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii) e poi incassati dalla Cib. «Ma tutto alla luce del sole».

Nessun raggiro, anzi: un’iniziativa più che legittima secondo l’imputato, che gioca decisamente all’attacco. Così, quando il pubblico ministero Carmen Pugliese cita il dirigente Ucoii Sami Trabelsi («ha affermato che quando la Fondazione seppe del vostro ultimo progetto poi non decollato, quello di via San Fermo, vi chiese di restituire i soldi»), El Joulani è durissimo: «Conoscevamo Sami da anni, sia io sia Saleh. C’erano voci anche su di lui per tre o quattro milioni che forse mancavano dai conti dell’Ucoii. Comunque, ho un video in cui proprio Sami Trabelsi mi diceva di procedere con i miei progetti. Più avanti lui e Mohamed Ibrahim (tesoriere dell’Ucoii in quella fase, ndr) mi hanno anche chiesto somme per loro e io ho rifiutato. Saleh stesso, dopo una loro visita, mi scrisse “queste persone mi puzzano”. E io ho saputo che in realtà dal Qatar erano arrivati all’Ucoii quasi 11 milioni per Bergamo, ma a me ne erano stati girati 5 o poco meno. Non ho mai avuto spiegazioni».

El Joulani traccia quindi un quadro in cui sia la Qatar Charity Foundation sia l’Ucoii l’avevano sempre sostenuto, nonostante fosse difficile trovare un luogo adatto per la moschea. «Già nel 2012 avevo spiegato alla fondazione la mia idea di una nuova realtà, aperta a tutti i fedeli islamici. Parlavo soprattutto con Al Hammadi (imam di rilievo in Qatar, vicinissimo alla fondazione). Era venuto anche a casa mia presentandomi il figlio del principe del Qatar e specificandomi che una donazione per contribuire al nostro progetto era stata anche sua». Ma poi la linea, ad avviso di El Joulani, era cambiata, anche con una certa confusione. «Avevano fatto con me tutti i sopralluoghi, sapevano tutto. Però poi ho iniziato a subire quelle pressioni, sia da Trabelsi sia da Ibrahim, che annunciava di volermi rivoltare “contro tutta l’Italia”, aveva detto proprio così. Poi ci sono state anche minacce da parte di Ayyoub (Ayyoub Abouliaqui era direttore della sede londinese della Qcf, ndr) via messaggio. A un certo punto proprio lui aveva detto che voleva riunire la proprietà di tutti i nuovi centri in una nuova società, sua». Ed era cambiato, sostiene El Joulani, anche l’atteggiamento dell’ex amico Mohamed Saleh, suo ex vice e poi presidente del Centro di via Cenisio: «L’Ucoii faceva pressioni su di lui per farmi cambiare idea. Ma perché secondo voi la comunità di fedeli islamici si è spaccata? Proprio perché c’è stata quella fase in cui Saleh si convince di dovermi denunciare e tanti fedeli gli dicono di non farlo. Questo è quello che è successo». Repliche chiare, da parte delle persone chiamate in causa ieri. «Su Sami Trabelsi c’erano voci, di cui anche io ho saputo, ma poi gli ho chiesto scusa per averci creduto», commenta Saleh. «Ma quali soldi, non abbiamo chiesto proprio nulla — commenta invece l’ex tesoriere Ucoii Mohamed Ibrahim, mentre Trabelsi risulta irraggiungibile —. E i cinque milioni per Bergamo erano quelli, non ce n’erano altri. El Joulani dev’essere denunciato di nuovo».

L’imputato ha anche ripercorso i passaggi che avevano poi portato alla scelta di via San Fermo. Prima la valutazione di uno stabile a Lallio, sull’ex statale 525, poi utilizzato da un concessionario di moto Bmw. Poi la trattativa, naufragata, sulla scuola calcio di Boccaleone dal fallimento del gruppo Begnini. Altro giro e altri sopralluoghi in via Baioni, su un’area industriale dismessa. E infine via San Fermo. «Ma ci fu uno choc nella fondazione del Qatar e anche nell’Ucoii perché né il progetto né l’associazione beneficiaria dei fondi corrispondevano — secondo il pm Pugliese —. Ce lo dica chiaro, lei ha truffato?». «No, nessuna truffa».

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