Bologna

Il ritorno degli Editors a Bologna, al PalaDozza post punk di rigore

Gli inglesi fedeli al loro stile alternative rock, senza rinunciare a incursioni nell'elettronica e persino nel country
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BOLOGNA - La maglia rossoblù indossata nei camerini dal cantante Tom Smith – dono dei bolognesi Joycut, sulle spalle modestamente il numero 18, low profile rispetto alla 10 vista in questi giorni all’Unipol Arena – è di fatto l’unica nota di colore in una serata da total black. Nell’outfit dei cinque inglesi, nelle scenografie, nella musica che si rifà alla cupezza dell’epoca della new wave britannica degli anni ’80. Sono gli Editors, poche parole sul palco, puntualità brit a spaccare il minuto, e 100 minuti d’incursione nei loro quindici anni di carriera, che ieri sera hanno riaperto le porte del PalaDozza alla musica.

Tre anni fa, infatti, con quasi perfetta coincidenza temporale (era il 28 novembre 2015) furono sempre loro ad esibirsi per l’ultima volta al Madison di piazza Azzarita. Che poi iniziò i lavori d’ammodernamento, tornò ad ospitare le partite anche della Virtus oltre a quelle della Fortitudo, e rimase esclusiva del basket, o al massimo qualche convegno. Eppure il PalaDozza aveva fatto la storia non solo dello sport ma anche della grande musica, a partire dal Festival internazionale del jazz di fine anni ’50 ad appuntamenti iconici come la prima volta dei Rolling Stones in Italia nel 1967, Jimi Hendrix l’anno successivo, passando per il Bologna Rock del ’79. Ora vuole riaprire alla musica, anche se con una partita di pallacanestro ogni weekend non sarà semplice trovare date libere.

Intanto, gli Editors, che con Bologna un rapporto particolare lo hanno, visto che negli ultimi quattro anni per tre volte han tenuto qui la loro unica data italiana. Pochi orpelli scenici e ammiccamenti, per una band che ha deciso di concentrarsi solo sulla musica. La scenografia è tutta in un telo col disegno di copertina dell’ultimo disco “Violence”, in versione – ovviamente, vien da dire – bianco e nero. Cupo è l’impianto scenico e forse non c’è immagine più tetra che quella restituita dalla hit “Smokers outside the hospital doors” che chiude il concerto, quella di persone in ansia che fumano in attesa davanti all’ingresso di un ospedale, “la cosa più triste che abbia mai visto”, conferma il testo.

Minimalismo e poche concessioni extra-musicali, ma la cupezza degli Editors non è depressione, alla lezione della dark wave albionica anni ’80 hanno aggiunto il gusto per il pop e l’elettronica (vedi il classico “Papillon”, ancora la più amata dal pubblico, a buona ragione). Incursioni d’improvvisa solarità come quella che all’inizio dei bis porta il frontman Smith a un momento chitarra e voce quasi country (“The weight”, fuori scaletta regalato al pubblico bolognese), che ti farebbe pensare d’essere in un bar nel Kentucky, non fosse per l’eleganza e la precisione dell’esecuzione decisamente british.

Perché, in fondo, gli Editors non sono solo quelli che han ridato vita ai Joy Division nel nuovo millennio, ma oltre al sacro c’è anche del profano, che li ha portati ospiti al concertone del Primo Maggio e a X Factor, o a scrivere per la colonna sonora di “Twilight”. E va bene così.