8 settembre 2018 - 16:36

Il Travel Photo Contest ad Alessandro Romito grazie agli aquiloni in volo su Tel Aviv

Il bresciano, 30 anni, di professione contabile, ha vinto il prestigioso premio: la foto è stata scattata con un Iphone8 poco prima di tornare a casa

di Alessandra Troncana

Alessandro Romito, 30 anni Alessandro Romito, 30 anni
shadow

Ramallah vista di notte, attraverso un vetro appannato e intriso di pioggia. Scarabocchi pacifisti in spray bianco — «War is over» — tra muri sbrecciati e relitti accartocciati, reti che segnano il confine sopra i vicoli di Hebron, rossetti sbavati nei club di Tel Aviv, bambini che giocano con le molotov sui marciapiedi. E la poesia nuda di quegli aquiloni che volano in equilibrio precario su una spiaggia di Tel Aviv: Alessandro Romito, 30 anni e un’ossessione per il bianco e nero, li ha fotografati con un i-Phone 8 qualche ora prima di tornare a casa. «Ho visto le proteste e la guerra tra le due popolazioni e mi sono chiesto: e se questi aerei fossero reali?».

Lo scatto ha appena vinto un premio di culto, il Travel Photo Contest 2018 del Washington Post. Bambini che vendono braccialetti nel salotto di casa mentre il padre ripara motorini, ribelli con le Converse, palestinesi in fila al check in e gli sherut per spostarsi da una trincea all’altra: lo scorso aprile, Romito, contabile in uno studio di Brescia, «fotografo di strada» (ipse dixit) e viaggiatore fuori e dentro di sé, ha vissuto dieci giorni in Israele. Tel Aviv, Betlemme, Hebron: «Fotografo da due anni. È la prima volta che faccio un viaggio così» dice. Il suo è reportage dall’indole artistica, espresso con la frugalità del bianco e nero (poche concessioni al colore) per far trapelare le inquietudini della guerra, l’infanzia perduta di chi è cresciuto in trincea e la poesia nuda di qualche aquilone che vola su una spiaggia. Dal Vangelo del semi-dio Cartier-Bresson: «Abbiamo l’abitudine di pensare, ma non si insegna alla gente a vedere». Romito ci ha provato: «Ogni volta che sento notizie da lì ho paura, anche se non è la mia guerra e non è il mio Paese — ha detto al Washington Post — . Perché l’ho visto, e voglio che gli altri realizzino com’è la situazione». Lontano dall’ego ipertrofico e narciso di certi reporter che si lasciano tentare dalla seduzione del ritocco, ha saputo contaminare il racconto crudo con il linguaggio dell’arte: «Mi piacerebbe esporre le mie foto in città, sto cercando lo spazio giusto».

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