27 settembre 2018 - 13:49

Alessio Galli e il Qatar, andata e ritorno: «Prima o poi gli italiani all’estero torneranno tutti»

Il bresciano, ingegnere elettronico, nel 2014 era partito per il Qatar dove ha progettato e realizzato un dispositivo per la misura della qualità dell’aria. Ora continua i rapporti con l’Università di Doha, ma dalla facoltà di ingegneria di Brescia

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A Doha, capitale del Qatar, vi è una consistente «colonia» di italiani provenienti da tutta la penisola. Una nuova America, sulla quale approdano ogni anno ricercatori, tecnici, professionisti ben accolti dall’emirato. I cervelli italiani sono un’importante risorsa per le aziende qatarine, che assumono i professionisti di casa nostra e li inseriscono in posizioni di vertice in un Paese che in soli trenta anni è passato da lunghe distese desertiche a metropoli. Alessio Galli, bresciano, ingegnere elettronico, parte nel 2014 come research assistant per un progetto di ricerca dell’Università di Brescia e rimane nella capitale per quasi tre anni, dove costruisce il primo laboratorio di progettazione elettronica alla Qatar University e impegna le proprie energie nella progettazione e realizzazione di un dispositivo per la misura della qualità dell’aria e di un sistema di sensori per la rilevazione — in tempo reale — di spostamenti critici in strutture edili. Oggi è assegnista di ricerca nel laboratorio Sensori della facoltà di Ingegneria di Brescia, dove, sotto la supervisione del professor Damiano Crescini, prosegue l’attività di ricerca a Doha, mantenendo saldi i rapporti con l’Università qatarina. Perché è partito? «È una storia già sentita, comune a tanti lavoratori. Si parte perché l’Italia non consente ai giovani la possibilità di seguire ambizioni personali e appagare così le proprie esigenze in ambito lavorativo. Quando mi fu proposto il progetto di ricerca in Qatar ero alla ricerca di un’opportunità di lavoro soddisfacente e dunque colsi al volo quest’occasione». Ci descriva questa esperienza. «Quando arrivi in uno stato come il Qatar, vieni sottoposto a una serie di controlli sanitari per l’ottenimento del permesso di residenza e non importa chi tu sia o da dove provenga. È un’esperienza che consente di comprendere e vivere la condizione dei migranti che ogni giorno giungono sulle nostre coste. Anche l’inserimento nella comunità comporta inizialmente una serie di ostacoli e limitazioni: la popolazione è per la maggior parte composta da expat, la burocrazia e le leggi locali non sempre agevolano tale processo. Inoltre parliamo di un paese islamico, dove vige “una morbida” Shari’a, per la quale, ad esempio, un uomo ed una donna non sposati non possono vivere nella stessa casa». Tanti sacrifici dunque. A che pro? «Generalmente i salari sono nettamente superiori rispetto a quelli italiani, e questo rappresenta uno dei motivi per cui molti si spingono fino a quelle latitudini. Di contro, naturalmente, le condizioni di vita non sono sicuramente tra le più floride, considerando le temperature caldissime, i paesaggi completamente artificiali, una vita sociale molto diversa da quella italiana e una buona parte della popolazione che vive in condizioni di schiavitù». Quali sono le prospettive di chi ha deciso di trasferirsi in Qatar? «Giovani e meno giovani, l’esigenza degli expat italiani (lavoratori che risiedono in un paese straniero) è quasi sempre la medesima: la ricerca di una posizione lavorativa molto ben retribuita, che permetta inoltre di fare un’esperienza all’estero, rimpolpare il proprio curriculum. Un’esperienza da circoscrivere a qualche anno, per poi esplorare altri mercati o rientrare in Italia facendo tesoro dei lauti stipendi guadagnati». Non è una perdita di risorse inestimabile per l’Italia? «Certamente non giova alla nostra economia. Quello che mi sento di dire, è che prima o poi la maggior parte delle persone che lavorano all’Estero tornerà in Italia. Assisteremo a un trasferimento di conoscenze in senso inverso a quello che le istituzioni didattiche italiane hanno trasmesso loro. Tutto ciò si ripercuoterà positivamente sulla formazione della nuova classe dirigente che avrà una visione molto più internazionale di quella odierna».

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