26 aprile 2019 - 21:11

Desirèe, trovato il giubbino
con la traccia di ignoto 1

La macchia, presumibilmente sangue, sull’indumento che indossava la ragazza il giorno dell’omicidio. Il reperto, conservato in tribunale, potrebbe essere comparato con il dna di un eventuale indagato nell’inchiesta bis

di Redazione online

Maurizio Piovanelli Il padre della vittima chiede altre indagini Maurizio Piovanelli Il padre della vittima chiede altre indagini
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Il giubbino che indossava Desiree Piovanelli il giorno che è stata uccisa a 14 anni, nell’autunno del 2002, è ancora custodito nell’ufficio corpo di reati del tribunale di Brescia. Lo ha appreso la Procura di Brescia che ha aperto una nuova inchiesta per omicidio sul delitto della giovanissima dopo che il padre della vittima ha presentato un esposto sostenendo che i quattro condannati in via definitiva, tre minori all’epoca dei fatti ed un adulto (Giovanni Erra che sta scontando una condanna di 30 anni) non siano gli unici coinvolti nel delitto.

«C’è un mandante legato al mondo della pedofilia» è la tesi sostenuta da Maurizio Piovanelli, padre della vittima. Sul gomito destro del giubbino è stata isolata una traccia biologica già evidenziata nel 2002 quando si parlò di «macchia presumibilmente di sangue appartenente ad un profilo di sesso maschile diverso dagli arrestati», ma mai associata ad un dna.

La traccia al momento non sarà utilizzata, vista la poca quantità di materiale presente sul brandello di stoffa. Solo nuovi sviluppi delle indagini potrebbero spingere gli inquirenti a comparare il profilo biologico con quello di un eventuale indiziato. Non è più conservato nell’ufficio reperti, invece, il fazzoletto, con una traccia anche in quel caso mai presa in considerazione, che venne recuperato sul luogo del delitto. «Sarebbe interessante - è il commento dell’avvocato Alessandro Pozzani, legale di Piovanelli - effettuare nuove verifiche con le tecnologie moderne. Ma è giusto non sprecare materiale e utilizzarlo solo per comparazioni davanti ad ipotesi più concrete in una fase più avanzata dell’indagine». Oltre al padre di Desiree anche uno dei quattro condannati, Nico, all’epoca 16 anni, chiede verità. «Io non ho partecipato all’omicidio, non c’ero alla Cascina Ermengarda, l’ho detto allora e lo ripeto. Devono analizzare quella traccia che oggi è di un soggetto ignoto». Alla revisione del processo stanno lavorando anche gli avvocati di Giovanni Erra: anche lui sostiene di essere innocente.

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