5 gennaio 2019 - 12:21

Rimettere le cose a posto

Il futuro della statua del Dazzi: Ritengo che proprio una giunta di sinistra potrebbe rimettere il Bigio di Arturo Dazzi al suo posto senza timore di essere tacciata di fascismo o cose del genere

di Pierluigi Panza

Rimettere le cose a posto
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Aggiungere e non sottrarre è la regola aurea dell’arte. L’arte ha sempre avuto, tra le altre, due componenti: quella di essere un’espressione estetica che innesca sentimenti di piacere o dispiacere e quella di essere una testimonianza. La prima dimensione è atemporale: possiamo amare oggi una statua greca più di una di Paladino. Dunque possiamo oggi detestare l’arte di regime, ma domani chissà. La seconda ci consente invece di documentare il passato, glorioso o inquietante che sia stato: lo abbiamo lì, sotto i nostri occhi, quando usciamo di casa: la città è un territorio della memoria. Togliere, usare la gomma, nascondere in magazzino è un modo per rimuovere la storia non per fare i conti con essa. Rimuovere una statua significa ottenebrare la sua funzione di monumento, ovvero di memento, ricordo. Cos’è stato il fascismo? Se ci sono dei segni in città un bambino si può fare un’idea della sua estetica; se tutto è occultato si costruisce una mitologia. A inizio secolo, a Chambery, rimossero la statua di Rousseau per il più nazionalista La Mettrie: anni dopo dovettero ritirarla fuori dal magazzino. Negli Stati Uniti, oggi, abbattono le statue di Cristoforo Colombo poiché per causa sua (?) iniziò la distruzione dei Nativi americani. Poi alla Georgetown University distruggono i busti dei fondatori perché nell’Ottocento erano schiavisti: ma va!

Un errore rimuovere il Bigio

Naturalmente, nel gran falò del politically-correct ci può cadere chiunque, un po’ come ai tempi dell’Inquisizione: è lo stesso fuoco nel quale, un domani, potrebbero venir divorati coloro che oggi rimuovono le statue o le nascondono. Un errore è stato rimuovere il Bigio; ma nel fuoco della controversia ciò è naturale che accada. Tuttavia, poiché non è stato distrutto, credo che un po’ di relativismo estetico sia pratica saggia. Ritengo che proprio una giunta di sinistra potrebbe rimettere il Bigio di Arturo Dazzi al suo posto senza timore di essere tacciata di fascismo o cose del genere. L’estetica di Dazzi ci appare oggi fredda e lontana, che è poi ciò che la nostra sembrerà alle generazioni future. La sua attitudine di scultore capace di conciliare classicismo a forme moderne era anteriore al periodo fascista, che vide in lui un artista consono agli ideali di un retorico e magniloquente gigantismo. Così Dazzi divenne uno degli artisti cari al fascismo, come lo fu Piacentini. Ma che facciamo: abbattiamo gli edifici di Piacentini?

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