8 dicembre 2018 - 14:47

Awudu Abass: «La mia vita tra basket e Allah. La maglia azzurra mi fa volare, ignoro i razzisti»

Nato a Como da genitori africani, cambierebbe la legge sulla cittadinanza: «Perché fino a 18 anni non ho potuto giocare in nazionale? Mi hanno detto negro, ma non ho mai risposto: la mia religione mi ha insegnato a essere un uomo pacato»

di Luca Bertelli

Abass è un pilastro anche della nazionale di Sacchetti (LaPresse/Morgano) Abass è un pilastro anche della nazionale di Sacchetti (LaPresse/Morgano)
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La testa di un vecchio saggio, molto più maturo dei 25 anni che indica la carta d’identità. Il fisico esplosivo che si abbina a uno stile di gioco con le movenze di un ballerino. La maglia azzurra tatuata sulla pelle nera. Italiano, non per colpa sua solo dai 18 anni, e musulmano praticante. Awudu Abass, pilastro della Germani, è un giocatore speciale anche per le sue contraddizioni, tali in realtà solo per chi osserva il mondo con gli occhi viziati dal pregiudizio. È la prova vivente che si può essere l’uno e l’altro, senza una barriera che divida cosa è giusto da cosa è sbagliato.

A proposito di giusto e sbagliato, le ultime due vittorie hanno cambiato la stagione?
«Potrebbe esserci stata la svolta. Attenzione, però: eravamo già convinti di aver trovato la quadratura prima della sconfitta a Trento, cui seguirono quelle con Andorra e Brindisi. Abbiamo parlato molto tra di noi e lavorato duro: ora (domani, alle 12, delicata trasferta a Pistoia), il gruppo sta ingranando e stiamo rispondendo bene alle richieste del coach».
É cambiato il vostro gioco?
«In attacco non ci capivamo, c’erano tanti giocatori da integrare e poco tempo per farlo. Mancava fluidità, nelle ultime settimane invece siamo stati noi a imporre il ritmo aumentando l’aggressività difensiva. Poi, diciamolo: abbiamo perso tre gare sulla sirena, fossero andate in altro modo non si sarebbe mai parlato di crisi. Ogni tanto bisogna partire in salita: i veri uomini si vedono mentre scalano le montagne, non in discesa».
Dicembre è già un mese decisivo?
«Nel basket lo è sempre. Si decidono le qualificazioni in Europa, c’è l’accesso in Coppa Italia da conquistare. Ma, se giochiamo così, sono ottimista per i nostri obiettivi».
Quando vedi azzurro, come a Brescia con la Lituania, ti scateni: cosa scatta?
«Innanzitutto mi trovo molto bene con il sistema di Sacchetti: responsabilizza lasciando allo stesso tempo libertà. Poi, il mio rapporto con la nazionale è particolare: io ho sempre voluto indossare quella maglia, ma ho potuto farlo solo a 18 anni quando ho avuto la cittadinanza...».
È una legge che ha ancora senso? La cambieresti?
«Sapevo quali fossero le regole, ma non penso abbia senso che un ragazzo a 16 anni debba essere costretto a guardare i coetanei sul computer senza scendere in campo con loro. Il tutto perché è nato in Italia, ma da genitori africani. In altri stati è diverso, spero che le cose cambino».
Che rapporto hai con la religione?
«Sono musulmano, prego 5 volte al giorno, non pratico il Ramadan perché coincide sempre con il momento clou della stagione. È una cosa molto profonda e personale: se sono pacato e rispettoso, lo devo anche all’Islam. Per questo, dopo una vittoria o un momento significativo della mia vita, ringrazio Allah».
Ti sei sentito discriminato, in passato, per questo?
«In Italia quella fase è passata, adesso prevale la paura per gli immigrati. Sui social leggo tanti brutti commenti: mi ha dato fastidio la discriminazione verso i giocatori di origine africana della nazionale francese di calcio. Mi sono immedesimato in loro».
L’Italia è un Paese razzista?
«Avverto una ventata d‘odio per chi viene definito diverso. Ma generalizzare è sbagliato. Io, ad esempio, solo in un paio di occasioni ho vissuto episodi particolari. In spiaggia mi urlarono «negro di m...» e un amico voleva difendermi. Lo bloccai. Scrollare le spalle di fronte all’ignoranza è la risposta migliore: la mia famiglia e la mia religione mi hanno educato a questo».
Quanto ti ha aiutato la pallacanestro per farti valere?
«Tantissimo. In primis, nel nostro sport, ci sono stati molti giocatori neri in azzurro prima di me. Il basket è meno arretrato e, se sei forte nello sport che pratichi, acquisisci più rispetto. A me è capitato».
Cosa auspichi per il futuro?
«Vorrei non fosse discriminato chi viene a cercare un futuro. Il razzismo equivale a un ritorno al passato, la mia Italia deve guardare avanti».

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