Malapianta, il timore della ‘Ndrangheta di Cutro verso pentiti e magistrati. “Gratteri come Falcone” (VIDEO)

Le indagini, che hanno portato nella notte all’esecuzione da parte della Guardia di Finanza di Crotone su disposizione della Dda di Catanzaro di  35 provvedimenti di fermo per indiziato di delitto nell’ambito dell’operazione Malapianta, hanno consentito di scoprire l’esistenza di una “locale di ‘ndrangheta” nell’agro di San Leonardo, ricadente nel Comune di Cutro, in provincia di Crotone, facente capo alle famiglie Mannolo, Trappasso e Zoffreo, con ramificazioni operative non solo in Calabria ma anche in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, nonché, con proiezioni estere.

Imprenditori vessati. Dalle investigazioni si  sarebbe accertato che, oltre al dominio incontrastato del traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e l’usura praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel nord Italia, la “locale di San Leonardo di Cutro” da anni  avrebbe esercitato la sua criminale influenza sulla gestione dei villaggi turistici nel territorio sottoposto al suo controllo, attraverso una costante quanto pesantissima vessazione posta in essere con l’imposizione di proventi estorsivi, di assunzioni di lavoratori vicini alla consorteria ‘ndranghetista nonché di fornitori di beni e servizi anch’essi graditi alle cosche annullando, di fatto, ogni forma di libero mercato e di concorrenza. Gli enormi proventi illeciti venivano riciclati anche mediante investimenti nei settori della ristorazione, dell’edilizia e delle stazioni di rifornimento carburante. La cosca San leonardese avrebbe agito in rapporti di dipendenza funzionale con la cosca Grande Aracri, egemone sulla provincia.

Imprenditori vessati. Dalle investigazioni si  sarebbe accertato che, oltre al dominio incontrastato del traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e l’usura praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel nord Italia, la “locale di San Leonardo di Cutro” da anni  avrebbe esercitato la sua criminale influenza sulla gestione dei villaggi turistici nel territorio sottoposto al suo controllo, attraverso una costante quanto pesantissima vessazione posta in essere con l’imposizione di proventi estorsivi, di assunzioni di lavoratori vicini alla consorteria ‘ndranghetista nonché di fornitori di beni e servizi anch’essi graditi alle cosche annullando, di fatto, ogni forma di libero mercato e di concorrenza. Gli enormi proventi illeciti venivano riciclati anche mediante investimenti nei settori della ristorazione, dell’edilizia e delle stazioni di rifornimento carburante. La cosca San leonardese avrebbe agito in rapporti di dipendenza funzionale con la cosca Grande Aracri, egemone sulla provincia.

Le altre indagini condotte nel corso degli ultimi anni avrebbero permesso di acquisire significativi elementi sulla crescita di potere e di influenza criminale delle famiglie di ‘ndrangheta del territorio di San Leonardo di Cutro. Tali elementi  avrebbero trovato piena conferma nell’odierna operazione Malapianta che, all’esito di difficilissime indagini condotte dalla Guardia di Finanza di Crotone a partire dal 2017, consente di asserire l’esistenza in San Leonardo di una “locale di ‘ndrangheta” riconosciuta con a capo le famiglie Mannolo e Trapasso. Fu lo stesso Nicolino Grande Aracri, nel corso di una conversazione captata in modalità ambientale alcuni anni fa, a sancire l’autorità mafiosa in quel territorio delle famiglie citate e a inserire i due capi famiglia, Alfonso Mannolo e Giovanni Trapasso fra i “grandi della ‘ndrangheta”.

La “locale sanleonardese” è, senza dubbio alcuno, una organizzazione delinquenziale ben identificata nei contesti criminali “crotonesi”. Il gruppo criminale inquisito risulta estremamente coeso, strutturalmente complesso ed altamente organizzato.
Il metodo mafioso che l’indagine ha cristallizzato è pedissequamente quello tipizzato dall’art. 416 bis del codice penale. Forza di intimidazione del vincolo associativo, condizione di assoggettamento e condizione di omertà sono tutti parametri che sono stati documentati nella presente indagine Malapianta. Le vicende di diversi imprenditori, vittime delle cosche di San Leonardo, sono inequivocabilmente dimostrative del potere mafioso della famiglia Mannolo e dei fini associativi perseguiti oltre che del soffocamento che la ‘ndrangheta opera su ogni forma di impresa e, quindi, di sviluppo di questo territorio.

L’ascesa della locale di Cutro. Quanto emerso dalle indagini di questa Direzione Distrettuale Antimafia, condotte dalla Guardia di Finanza di Crotone, conferma la mole di dati riferiti dai collaboratori di giustizia e permette di individuare l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta a San Leonardo di Cutro, a partire almeno dagli anni ’70, appartenente al “Crimine” crotonese/catanzarese e pertanto riconosciuta da parte del superiore “Crimine” di Polsi. La ‘ndrangheta san leonardese ha, nel corso dei decenni, diversificato la sua operatività criminale passando dal contrabbando di sigarette al narcotraffico, all’usura e alle estorsioni.

Il timore del clan verso collaboratori e Dda di Catanzaro. L’attività investigativa svolta ha consentito di comprendere come il capocosca di San Leonardo, Alfonso Mannolo, e i suoi sodali avessero timore sia delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la cui scelta veniva giudicata dai medesimi “vergognosa”, che dei magistrati inquirenti di Catanzaro verso i quali si sprecano le ingiurie e, inoltre, del procuratore Gratteri accostato, nei loro commenti, a Giovanni Falcone. Il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, viene definito un morto che cammina e viene  “esplicitamente menzionato in diverse registrazioni, indicato come l’artefice di una minacciosa azione giudiziaria e come colui il quale trattava, in prima persona, la gestione dei collaboratori di giustizia”. Gli indagati esprimono preoccupazione per la perseverante opera della magistratura e il magistrato, in una conversazione fra esponenti del clan Mannolo, viene apostrofato con parole ingiuriose questo è un figlio di…. L’intercettazione risale al 23 gennaio 2018 e a parlare sono Remo Mannolo, figlio del boss Alfonso, e Franco Falcone. Alla conversazione partecipano una terza persona non indagata ed un’altra non identificata. Nel corso del colloquio i presenti associavano la figura del procuratore a quella di Giovanni Falcone, definendolo “morto che cammina”, un uomo- spiegano gli inquirenti- consapevole dei pericoli insiti alla sua attività. “Si tratta, però, di considerazioni che non attenevano ad alcun concreto progetto omicidiario. Ma di una timorosa reverenza”. Nell’intercettazione si parla anche del domicilio di Gratteri: “Ma questo dove abita…? a Catanzaro?”, afferma uno di loro, “ma questo ha tutti posti segreti”, risponde un altro interlocutore: “vabbè, volendo. lo scoprono!”. Alcuni degli indagati, inoltre, sono stati captati mente commentavano l’arrivo di nuovi magistrati presso il distretto della Dda di Catanzaro: “…hai capito qual è il discorso mo? Che so arrivati cinque giudici, so bastardi veramente”. Cinque giovani magistrati che “Sono peggio di lui che vogliono carriera”.

Le informazioni sulle operazioni. La locale di San Leonardo avrebbe avuto una fortissima capacità di controllo e monitoraggio del territorio per censire “presenze sospette” di veicoli e/o soggetti appartenenti alle forze dell’ordine. I componenti della consorteria criminale sarebbe stata anche in grado di ottenere informazioni sulle operazioni di polizia imminenti attraverso una oscura rete di fonti e connivenze. Oltre a ciò è stato accertato come i medesimi effettuavano regolarmente attività di anti bonifica per il rilevamento di microspie o per eludere le attività intercettive dei finanzieri. Tutto ciò, unitamente al descritto monitoraggio in forma “militare” del loro territorio, certifica la capacità dei “santo leonardesi” di ostacolare e sottrarsi a qualunque forma di investigazione.

L’estorsione agli imprenditori per milioni di euro. L’asservimento dei villaggi turistici del litorale ionico fra Crotone e Catanzaro è la sintesi di un progetto delinquenziale condiviso dalle consorterie operanti nella “circoscrizione” criminale di Cutro. Tali imprese, rappresentative di quello che senza dubbio è il settore economico di maggior importanza in questo territorio, soggiacevano al controllo criminale posto in essere con due metodologie distinte: l’estorsione di denaro contante per milioni di Euro e il condizionamento e lo sfruttamento della gestione dei servizi quali manodopera, forniture e manutenzioni. In pratica le cosche nel tempo sono riuscite a imporre la loro assoluta egemonia in relazione a qualsivoglia aspetto delle attività connesse alla gestione delle strutture alberghiere che abbia un profilo economico. Le dichiarazioni di diversi imprenditori, se per un verso hanno integrato le penetranti indagini dei finanzieri, sono altresì dimostrazione di uno spirito di ribellione alla ‘ndrangheta. Spirito che va sostenuto con ogni mezzo.

Tra le principali attività della “locale di ‘ndrangheta di San Leonardo di Cutro” si annovera senza dubbio il traffico di stupefacenti, una delle principali fonti di finanziamento dell’associazione. Sin dagli anni ’90 per le altre cosche del crotonese e non solo i Mannolo hanno costituito un punto di riferimento per il narcotraffico. In quegli anni venne addirittura impiantata una raffineria in quel di San Leonardo, località giudicata idonea in quanto facilmente controllabile dalla cosca e quasi impossibile da controllare per le forze dell’ordine. Le indagini hanno dimostrato come i san leonardesi si sono approvvigionati di droga dalle cosche operanti in provincia di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria e, inoltre, si sono dotati di una ramificata rete territoriale per la commercializzazione del narcotico principalmente su Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Botricello e zone limitrofe in provincia e Catanzaro, San Giovanni in Fiore in provincia di Cosenza. Le indagini hanno documentato l’acquisto e la successiva cessione di centinaia di chilogrammi di hashish, cocaina ed eroina.

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