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Il progetto Cagliari e l’utopia: diventare il Leicester d’Italia…

Seconda parte dell’approfondimento di Repubblica, nell’edizione odierna, parla del progetto in corso nella società rossoblù. Passetti, Porrà e il sindaco Zedda spiegano il Cagliari di ieri, oggi e domani.

Seconda parte dell’approfondimento (clicca qui per la prima parte).

PASSETTI. Qualche risposta, sul ruolo del Cagliari nel calcio moderno, la dà Mario Passetti, dg del Cagliari: “Colmare il gap? Non può dipendere solo dalle nostre attività. Bisogna che il sistema Italia, lacunoso, si preoccupi di creare un valore del calcio e di dividerlo in modo più equo. La Sardegna è una terra dimenticata, si parla di noi solo quando comincia a battere il sole a giugno. È inverosimile che con il 4% dei tifosi in Italia, come Fiorentina e Lazio, nella distribuzione delle risorse siamo così indietro. In Inghilterra, con una politica interna lungimirante e positiva, la città di Manchester ha potuto trovare investitori e successo. Dall’equità è nata una storia come quella del Leicester, o come potrebbe essere il Leeds futuro. Ci auguriamo che con uno scossone e un cambio di rotta sia possibile a tutti competere per la Champions. Purtroppo i nostri grandi club sono più attenti a strutturare la Superlega che a lavorare su un sistema che dia benefici a tutti”.

PORRÀ E IL CALCIO DEI VALORI. Giorgio Porrà, giornalista di Sky, conferma il suo storico legame col calcio di una volta, quello dei valori: “Noi sardi abbiamo uno smisurato orgoglio etnico. Con la presidenza Giulini vedo un risveglio. A Scopigno chiedevano: com’è il vivaio? Rispondeva: il vivaio di cozze è buono, il resto no. Ora dall’Academy salta fuori Barella, e non solo. Vedo il recupero di valori antichi e del senso d’appartenenza“.

SINDACO ZEDDA. Infine è Zedda a dare il là al sogno: “Solo coltivando l’utopia accade agli uomini di realizzare l’irrealizzabile. Bisogna trovare le persone giuste. Scommettiamo sulla forza della comunità. Era difficile vincere anche negli Anni 70 ma i giocatori si resero indisponibili ad andarsene. Scelsero una città, una parte, e lo so che oggi il dato economico è prevalente e genera un doppio livello. Ma quando in campo entrano cuore e passione, non ci sono battaglie impossibili, altrimenti il Sudafrica non avrebbe mai vinto i Mondiali di rugby“.

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