Da “repezzati” a Paperoni. Nel racconto di Antonio Iovine, l’epoca in cui Mario e Armando Diana facevano i camionisti per “don Oreste”

28 Gennaio 2019 - 17:00

SAN CIPRIANO D’AVERSA(g.g.) Antonio Iovine avrebbe potuto rappresentare una importante carta difensiva, non tanto per Armando Diana, quanto per i nipoti Antonio e Nicola. Ma le sue affermazioni che lo vedono esprimere un punto di vista preciso, nel momento in cui dichiara che a suo avviso i Diana non erano soci di fatto di Michele Zagaria, ma solo vittime del suo sistema estorsivo, sono talmente generiche ed esplicative di fatti di 20 o 25 anni fa, da rappresentare un impianto molto debole.

Anche perchè la maggior parte delle informazioni sui rapporti tra la famiglia dei “repezzati”, Vincenzo Zagaria e poi Michele Zagaria, Iovine le assume da suo cognato, quel Salvatore Diana, marito della sorella Anna, il quale, a sua volta, è nipote di Armando Diana, come lo è stato di Costantino Diana e di Mario Diana, padre di Nicola e Antonio, entrambi morti, il secondo in un agguato di camorra, di cui Antonio Iovine si auto accusa davanti al pm, per la necessità di doverlo fare per rendere credibile il suo stato di collaboratore di giustizia.

Da un lato, o’ninno è un giovane killer che nell’85 è chiamato a svolgere una missione, una come un’altra si potrebbe dire, di uccidere Mario Diana, che lui definisce vicino a Bardellino e che evidentemente era entrato in rotta di collisione con altri gruppi di camorra, a partire d quelli emergenti che poi avrebbero dato il la per la fondazione del clan dei casalesi; dall’altro parla con poca cognizione di causa dell’attività di Armando Diana il quale, dice però Iovine, recuperò ben presto, già ad inizio anni 90, un pieno rapporto di proficua relazione con Vincenzo Zagaria.

Per quanto riguarda la cifra annuale versata dai Diana, Iovine dice di conoscerla solo in quanto l’ha sentita durante una riunione dei vertici del clan dei casalesi, visto e considerato che Michele Zagaria la versava nella cassa comune. Non spiega però Iovine se questi 30 mila euro erano usciti direttamente dalle tasche di Diana o se erano anche in parte soldi di Zagaria che questi versava in quanto i Diana operavano a Gricignano, territorio sotto il controllo criminale del gruppo di Peppe Russo detto o’padrino e quindi degli Schiavone.

Dunque, il gip considera poco utile il materiale di Iovine, proprio perchè questi dimostra di aver avuto pochissimi rapporti diretti con i Diana, della cui attività si è disinteressato, ma che può descrivere solo rispetto ai primordi della loro vita lavorativa, quando cioè erano poveri (da qui il soprannome di “repezzati”, cioè di rattoppati, riferendosi agli abiti lisi che non potevano certo essere buttati), e lavoravano alle dipendenze di Oreste Iovine, padre di Antonio Iovine, che i “repezzati” chiamavano “don Oreste” svolgendo il mestiere di camionisti, dunque di autisti nell’impresa di trasporti del papà di o’ninno da cui poi ha preso il nome anche il figlio di quest’ultimo.

Nè è servita ai magistrati l’escussione come testimone di Salvatore Diana. Questi non è un pentito. E lo dimostra, visto che secondo il gip, si mostra reticente nel raccontare le vicende della sua famiglia, le vicende dello zio Armando e dei suoi cugini Antonio e Nicola. D’altronde, Salvatore Diana non è un collaboratore di giustizia, ma è uno che beneficia oggi della protezione che lo Stato garantisce ai parenti dei collaboratori di giustizia. Salvatore Diana, lo è a pieno titolo, avendo sposato, lo abbiamo scritto prima, Anna Iovine, sorella di Antonio Iovine.

 

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