Le rotte dell’Eurafrica sono lastricate della morte dell’Europa

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DI ROSANNA SPADINI

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Emmanuel Macron, così tenero, così bastardo, aveva attaccato molto duramente l’Italia sul caso Aquarius e sulle mosse politiche di Matteo Salvini «Italia vomitevole per la chiusura dei porti». Poi  Gabriel Attal, portavoce del partito di governo, aveva aggiunto che la Francia era sempre alla ricerca di una soluzione. In realtà nel luglio 2017 era stato proprio Macron a chiudere i porti, e all’epoca aveva sbarrato gli attracchi francesi, scaricando il fardello all’Italia, mentre la Commissione europea stava a guardare.

Attualmente a Ventimiglia ogni giorno decine di migranti tentano di attraversare la frontiera italo francese sui treni diretti a Mentone, ma una volta oltrepassato il confine la polizia Francese dispone   perquisizioni su ogni vagone alla ricerca dei profughi, che vengono poi espulsi e rimandati in Italia, compresi i migranti minorenni, nonostante questa pratica sia illegale. Sncf, la società ferroviaria francese, ha chiesto ai suoi dipendenti di collaborare con le autorità a individuare i migranti a bordo dei treni, ma in tanti, tra controllori e ferrovieri non sempre obbediscono.

Quindi, mentre l’Italia ha finora accolto con grande generosità, tutti i migranti che venivano ‘salvati’, la Francia ha difeso i suoi confini espellendo i clandestini, scaricandoli sull’Italia e praticando numerose violazioni dei diritti umani. L’Europa non esiste, esistono solo le sopraffazioni politico finanziarie dei Paesi più forti, contro quelli considerati più deboli, nel solito gioco al massacro imperialista.

A impedire il passaggio è l’applicazione ferrea del Regolamento di Dublino, votato a suo tempo dal Governo Berlusconi (Lega e Forza Italia), la cui recente fasulla proposta di riforma, ha visto l’astensione degli euro deputati leghisti e il voto contrario della delegazione del M5s.

Infatti la pseudo riforma è una vera truffa perché obbliga l’Italia a gestire tutti i migranti economici arrivati, per loro non sarebbe previsto nessun ricollocamento e nessuna solidarietà europea.

Allo stato attuale solo i minorenni avrebbero diritto di passare e scegliere lo stato dove chiedere asilo, ma come ampiamente dimostrato la Francia continua a respingerli in Italia, alla stregua dei maggiorenni.

Quello di Ventimiglia continua a rappresentare il passaggio più vulnerabile, nonostante la militarizzazione di entrambi i versanti e i controlli continui sui passeggeri che cercano di passare il confine in treno o valicando i passi di montagna in condizioni di estremo pericolo, Secondo le informazioni, per un passaggio sui loro ‘special taxi’ la tariffa dei passeur oscilla tra i 100 e i 300 euro in base alla destinazione richiesta. Non è facile infatti individuare accompagnatori solidali, che rischino personalmente per guidare i ragazzi oltre il guado.

L’assedio subito dall’Europa si combatte su diversi fronti, le rotte più battute dai migranti sono quelle che vanno dalla Libia all’Italia, attraverso il Canale di Sicilia, e dalla Turchia alla Grecia. Mentre al confine con la Turchia, nella parte sud orientale della Bulgaria gli uomini del movimento nazionalista chiudono la rotta balcanica, tra Serbia e Ungheria è stato alzato un muro, e nella Giungla di Calais la polizia cerca di fermare la formazione di nuovi campi. C’è però anche una rotta molto meno famosa, ma altrettanto utilizzata, ovvero quella di Ceuta e Melilla, i due avamposti spagnoli in Marocco.

Pochi avevano previsto che in un tempo così breve l’Europa sarebbe passata da uno stato di relativo ottimismo sul futuro all’attuale stato di panico sbigottito. Oggi i livelli d’instabilità sono piuttosto elevati, e le correnti sotterranee della ribellione populista si stanno rafforzando, diffondendo le loro ansie da un paese all’altro. In Germania Angela Merkel e il leader della Csu Horst Seehofer sono riusciti a trovare un compromesso sulla politica migratoria, chiudendo una crisi che se portata all’estremo avrebbe potuto far cadere la Grande Coalizione prospettando nuove elezioni.

In Italia il governo giallo/verde sfida il Vecchio Continente e i suoi trattati “Dobbiamo superare Dublino, un regolamento che appare del tutto inadeguato a gestire i flussi migratori. ‘Va superato – dice il presidente del Consiglio Conte – perché non ci sono più dubbi che solo il 7% dei migranti in arrivo sono rifugiati, e va superato ‘anche il criterio del Paese di primo arrivo, anche questo non è idoneo a gestire i flussi in modo efficace e sostenibile’… ‘Va infatti affermato il principio che chi sbarca in Italia (o in qualsiasi altro Paese di primo arrivo) sbarca in Europa. Questo principio lo ripeterò come un mantra’.

La progressiva instabilità europea è alimentata dai continui flussi migratori provenienti dall’Africa via mare e dal MO, mentre le rotte cambiano e i governi cercano di rafforzare le frontiere esterne dell’Unione europea (chiusura dei porti, muri alle frontiere dell’est).

Oggi l’Europa è fortemente divisa sull’immigrazione: i paesi del Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca) si oppongono a qualsiasi schema che consenta l’ingresso e la ridistribuzione degli immigrati, mentre il flusso migratorio ininterrotto in Europa occidentale ha provocato le ultime reazioni contestate del governo italiano.

In Germania lo shock provocato dall’ondata migratoria 2015/16 ha fortemente riformulato la politica del paese: Alternativa per la Germania (AfD) è oggi il terzo partito del Bundestag, e se il governo Merkel cadesse l’AfD potrebbe arrivare al secondo posto.

Però le élite politiche europee non sembrano particolarmente interessate all’urgenza del dibattito, e si accontentano di una fasulla ‘risoluzione’ del problema (potenziare e trasformare Frontex per difendere i confini esterni dell’UE, ridurre le prestazioni sociali agli immigrati, ridurre i fattori di attrazione e investire nello sviluppo economico nei paesi poveri).

Ciò che manca è una discussione ampia sulla questione profonda dell’identità dell’Unione, una gigantesca medusa che strozza gli stati membri, priva di una propria consapevolezza del futuro comune destino.  L’ideologia neo-marxista che ha informato buona parte della cultura di sinistra, quella che ha sollecitato identità contestuali, relativismo culturale e multiculturalismo, è in definitiva divenuta inerme strumento del neoliberismo mondialista, tanto che alla fine ha contribuito alla dissoluzione dei partiti sinistrati. Nel frattempo ha perso buona parte del proprio consenso politico, mentre un numero crescente di europei sta respingendo la convinzione, sostenuta dalle élite liberiste, che nel tempo le differenze culturali tra cittadini e nuovi arrivati ​​potrebbero essere attenuate dalle politiche d’integrazione.

L’Unione europea non riesce a fare alcun passo avanti come soggetto politico, appare sorda dinnanzi al problema, inoltre l’ideologia europeista è riuscita a delegittimare alla radice la cultura della nazione, tanto che ogni riferimento alla nazione è apparso come il potenziale preludio di una deriva nazional fascista, di una violenza sacrilega al mito ancestrale di un’Europa unita, quasi fosse  sinonimo di sopraffazione nazionalistica. La propaganda europeista ha imbottito le coscienze di alcuni tabù inviolabili, ripetuti fino alla nausea su tutti i network: gli Stati nazionali significano inevitabilmente la guerra; l’Europa ha portato 70 anni di pace; solo gli Stati uniti d’Europa ci potranno salvare.

Per decenni un’identità civica distinta dai suoi contesti nazionali e culturali è stata il santo graal delle élite in tutto l’Occidente, ma l’immigrazione selvaggia sta dimostrando che l’idea della democrazia non può esistere in una dimensione comunitaria asimmetrica, completamente avulsa dal contesto nazionale e storico dei singoli stati, perché la risoluzione dei problemi resta segregata nell’impotenza delle divergenze incrociate.  Di fronte alla dura realtà dell’immigrazione di massa, gli europei sono stati costretti a calcolare il prezzo  del relativismo multiculturale, diventato dolorosamente quantificabile. La più grande ondata migratoria in Europa dalla seconda guerra mondiale è diventata quindi un problema sempre più urgente in quanto le popolazioni indigene europee continuano ad  invecchiare e a diminuire di numero .

Per affrontare il problema dell’immigrazione l’Europa dovrebbe in primo luogo trovare soluzioni condivise per arginare il flusso, in linea con il cliché secondo cui se la vasca si riempie, si dovrebbe chiudere il rubinetto prima di iniziare a discutere, perché mentre tutte le culture si evolvono, però spetta ai membri politici di una comunità determinare la velocità e le condizioni del cambiamento e marcare quali fondamentali basi culturali costituiscono il senso condiviso dell’identità nazionale.

Anche nell’Europa postmoderna, il senso di appartenenza ad una propria comunità nazionale dovrebbe rimanere il fondamento della polis… e una polis europea ancora non esiste.

Con l’immigrazione attuale, così massiccia ed invasiva, destinata in prospettiva a riformare le società occidentali, la funzione ‘nazionalizzante’ dello stato rimane più attuale oggi che in qualsiasi momento dalla fine della Guerra Fredda. Pensarla diversamente, come ha fatto la sinistra negli ultimi decenni, significa permettere non solo la dissoluzione della democrazia, quanto anche quella della civiltà occidentale.

La minaccia che l’Europa sta affrontando se rifiuta di chiudere e controllare i confini viene esaminata da Stephen Smith, un esperto di Africa e  ammirato  dal presidente francese Emmanuel Macron, nel suo nuovo libro  The Rush to Europe: Young Africa on the Way to the Old Continent. Oggi, osserva, vivono nell’Unione europea 510 milioni di europei a fronte di 1,3 miliardi di africani. ‘In trentacinque anni, 450 milioni di europei affronteranno circa 2,5 miliardi di africani, cinque volte di più’, prevede Smith. Se gli africani seguono l’esempio di altre parti del mondo in via di sviluppo, come i messicani negli Stati Uniti, ‘in trenta anni’,  secondo Smith ‘L’Europa avrà tra 150 e 200 milioni di afro-europei, rispetto ai 9 milioni di oggi.’

Per Stephen Smith siamo solo agli albori dei grandi movimenti migratori del XXI secolo. Il ricercatore sottolinea che ‘non scappano i più poveri, perché non possono permettersi di emigrare. non ci pensano nemmeno. Sono impegnati a sbarcare il lunario, il che lascia loro poco tempo per familiarizzare con la marcia del mondo e ancor meno per parteciparvi.’

Egli pensa che l’importo minimo necessario inizialmente sia tra 1500 e 2500 euro, ‘una o più volte il reddito annuale in un particolare paese sub-sahariano.’ La seconda condizione è ‘l’esistenza di comunità diasporiche, che costituiscono così tante teste di ponte dall’altra parte del Mediterraneo’. La diaspora facilita l’installazione, l’orientamento del migrante o addirittura il suo primo impiego.

Contrariamente a quanto si sostiene regolarmente, l’aiuto allo sviluppo non limita l’immigrazione, anzi la favorisce ‘perché permetterebbe alla popolazione di raggiungere la soglia di prosperità, quindi di cercare una vita migliore altrove. È l’aporia del co-sviluppo, che mira a tenere i poveri a casa mentre finanzia il loro sradicamento’, scrive nel suo libro.

Ma il co-sviluppo non ha provocato alcun decollo per l’Africa, a differenza di altri paesi come la Cina o l’India, il cui dinamismo economico non deve nulla a queste politiche. Dopo i massicci arrivi del 2015, ‘il Mediterraneo è diventato la ‘scena del test’ per eccellenza’. La traversata del Sahara è poco coperta a causa dei rischi che correrebbero i giornalisti. Stessa cosa in Libia, dove i migranti che non hanno soldi vengono rinchiusi in ‘case a credito’, torturati, affamati, a volte ridotti in schiavitù. In questo contesto, il Mediterraneo diventa ‘l’obiettivo mediatico di un gioco di guerra tra migranti, trafficanti, polizia di frontiera e operatori umanitari senza frontiere’, afferma Smith.

Descritto come la ‘vergogna dell’Europa’ o addirittura il luogo di un ‘genocidio silenzioso’, il Mediterraneo è un cimitero aperto attraverso il quale centinaia di migliaia di migranti si sono riversati sul vecchio continente.

Già nel 2015, l’ anno della morte del piccolo Aylan che aveva sconvolto il mondo intero , ‘il rischio di perire attraverso il Mediterraneo in un’imbarcazione di fortuna era dello 0,37%’, invece ‘Lo stesso anno, secondo i dati della Banca Mondiale, il rischio di morire a letto era dell’1,7% per una donna nel Sud Sudan, il posto peggiore per mettere al mondo un bambino… quindi un rischio quattro volte e mezzo più alto’. ‘Ma dobbiamo affrontare i fatti: i migranti africani corrono un rischio calcolato per arrivare in Europa, simili ai rischi che di solito assumono nella vita, che cercano di lasciarsi alle spalle’, conclude.

Stephen Smith contesta anche l’idea che l’esportazione di manodopera africana possa ‘co-sviluppare’ la giovane Africa e il Vecchio Continente. In Europa, l’arrivo di migranti non fermerà il declino demografico e non salverà il sistema di pensioni e sicurezza sociale basato sulla solidarietà intergenerazionale.

Con tutti questi elementi in mano, Smith disegna diversi scenari che potrebbero emergere in futuro, il più ottimista – lo scenario di una ‘Eurafrica’ ​​- formerebbe un’Europa accogliente e multiculturale, ma sarebbe la fine della sicurezza sociale per l’Europa.

Un altro scenario sarebbe quello attuale della ‘Fortezza Europa’, la battaglia delle convenzioni bilaterali firmate con i paesi di partenza o di transito, come la Turchia o la Libia (priva di un apparato statale funzionante). ‘Nell’estate 2017, anche il flusso di migranti dalla Libia è calato bruscamente mentre i 6 miliardi di euro concessi alla Turchia hanno intasato il fianco sud-orientale dell’Europa’. Tuttavia, in considerazione della portata dei futuri movimenti migratori ‘qualsiasi tentativo di sicurezza è destinato a fallire’.

L’intero consenso politico europeo si sta frantumando sotto l’impatto sismico dell’ondata migratoria. La migrazione verso l’Europa è diventata una questione politica tossica, e l’attuale mancanza di risoluzione del problema evidenzia senza mezzi termini che o si difende la volontà dei cittadini europei, quindi la democrazia, o l’UE crollerà sotto le proprie contraddizioni.

E mentre il problema della moneta unica è percepito ancora come un problema astratto da parte dell’opinione pubblica, ancora molto scettica circa il ritorno alle valute nazionali, la convivenza forzata con un’endemica mancanza di sicurezza sul territorio, dovuta a microcriminalità diffusa, furti seriali e  tentativi di stupro, metterà a dura prova l’egemonia degli stati del nord Europa, verso gli odiati ‘Paesi Piigs’, che si stanno ribellando.

Il nuovo governo giallo/verde italiano sta sostenendo una sfida importante allo status quo europeo, ma non nel modo in cui la maggior parte degli osservatori si sarebbero aspettati inizialmente, per il momento la coalizione di governo ha messo da parte la sua sfida alla politica dell’euro (solo per il momento?), e sta forzando la mano invece proprio sull’immobilismo politico europeo per arginare il grave problema dell’immigrazione.

 

Rosanna Spadini

Fonte: www.comedonchisciotte.org

25.07.2018

 

 

 

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