Menu

Iran: legittime proteste e ingerenze straniere. Fronti diversi, risposte diverse

L’Iran è teatro di un’ondata di proteste che questa volta sembrano andare oltre quelle di specifiche del passato, che vedevano protagoniste classi sociali ed etnie. Le manifestazioni si susseguono da nord a sud, da est a ovest in una richiesta generale di cambiamenti che vede convergere sia richieste di maggiori libertà civili che richieste economiche,

Iniziate lo scorso 17 settembre nella provincia del Kurdistan iraniano per condannare la morte di Mahsa Amini, deceduta il 16 settembre a Teheran dopo il suo arresto da parte della polizia morale iraniana, le manifestazioni si sono estese in oltre 130 città.

Nell’ultima settimana le proteste hanno coinvolto anche le scuole secondarie di secondo grado, caratterizzate dalla divisione tra maschi e femmine, con i video diffusi in rete che mostrano ragazze adolescenti protestare contro i loro stessi dirigenti scolastici.

Queste manifestazioni sono differenti da quelle del passato”, afferma ad Agenzia Nova l’analista geopolitico di origini iraniane Nima Baheli, osservando che nelle precedenti ondate – 2009, 2018, 2021 – vi erano istanze specifiche e legate a singole problematiche che coinvolgevano alcune fasce della popolazione, come avvenuto nelle proteste per la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad che vedevano una prevalenza della classe medio borghese.

Quelle a cui stiamo assistendo partono da istanze di maggiori libertà economiche e di costumi, unendo donne e uomini, più fasce economiche, tra cui quelle più umili, e parti della popolazione collegate al sistema della Repubblica islamica”, sottolinea l’analista.

Secondo Baheli, le proteste hanno visto anche la presenza di “popolo”, infatti non si sono limitate a particolari componenti, ma hanno coinvolto anche le provincie curde, azere, arabofone “senza che emergessero istanze indipendentiste, mostrando un’adesione a un manifesto comune iraniano con rivendicazioni di maggiori libertà, economiche, sociali e di genere”.

Le autorità iraniane hanno prima cercato di ricondurre le proteste imputandole al Partito democratico curdo dell’Iran (Kurdistan Democratic Party of Iran, Kdpi), data l’etnia curda di Mahsa Amini, e successivamente alla ingerenza straniera, soprattutto di Stati Uniti e Israele. I servizi di intelligence iraniani denunciano come Israele utilizzi l’enclave curda in Iraq per addestrare sabotatori da inviare in Iran.

Quest’ultima tesi ha un suo fondamento ma non è certo sufficiente a spiegare l’ondata di proteste popolari e soprattutto giovanili.

Nei giorni scorsi è stata diffusa dalle autorità iraniane la documentazione sui legami di una delle esponenti di spicco delle proteste e gli Stati Uniti, con tanto di quantificazione dei finanziamenti ricevuti. Si tratta Masih Alinejad, che avrebbe ricevuto 628.000 dollari dalle agenzie Usa per sobillare e manipolare attraverso i social la rivolta contro le autorità. La sua foto insieme all’ex Segretario di Stato Usa Mike Pompeo è diventata virale, così come quella dell’assegno ricevuto.

La stessa versione della morte della giovane Mahsa Amini ha cambiato via via linguaggio e descrizione, trasformando una morte per causa naturali in un brutale omicidio da parte della polizia. La morte è avvenuta sicuramente durante lo stato di fermo dovuta  alla reazione della ragazza verso le angherie di una donna della cosiddetta Polizia Morale, ma tra questo e una morte a causa delle percosse c’è una notevole differenza. Una manipolazione sapiente delle informazioni ha consegnato quest’ultima come versione ufficiale che ha incendiato le proteste nel paese e fatta propria dai mass media occidentali.

Un altro attivista iraniano a libro paga e attivissimo su Twitter viene indicato in Babak Taghvaee, un esule doppiogiochista accusato di aver diffuso informazioni sensibili alla CIA e al Mossad, collaboratore militare di Israel Hayom, del Pentagono e di Radio Free Asia/Radio Liberty.

Il giornale israeliano di destra, “Israel Hayom” scrive piuttosto esplicitamente: “Diciamolo chiaramente: le proteste attuali non riguardano l’hijab. Non si è mai trattato di questo. Le proteste in corso sono iniziate a causa di un evento legato al velo imposto alle donne, e da allora molte l’hanno tolto e persino bruciato in segno di protesta. Ma l’hijab è sempre stato un simbolo. I manifestanti non chiedono solo la libertà di vestirsi come desiderano. Chiedono la completa liberazione dal giogo oppressivo della Repubblica Islamica”.

Che Stati Uniti e Israele stiano strumentalizzando il malessere sociale e civile in Iran non ci sono dubbi, né possono esserci sulla loro volontà di destabilizzarne la leadership.

E’ innegabile che l’Iran rappresenti una spina nel fianco per l’egemonia israeliana e Usa sul Medio Oriente. Non solo, ha dimostrato anche una capacità di manovra diplomatica che sta cominciando a disinnescare la storica rivalità nel mondo islamico tra sunniti e sciiti, sia a livello governativo che a livello di organizzazioni.

Recentemente l’ayatollah Kamenei, relativamente al programma nucleare iraniano ha ricordato che “Oggi il Paese ha fortunatamente raggiunto la fase di deterrenza, il che significa che il suo status militare ha raggiunto il punto in cui il Paese non è preoccupato per le minacce straniere, e anche i nemici ne sono consapevoli”. Uno dei risultati è stato quello di “salvaguardare il Paese e dissuadere i nemici attraverso la Resistenza, non la sottomissione”.

Gli Stati Uniti poi non hanno mai perdonato all’Iran lo schiaffo del 1979, che prima ha abbattuto il regime dello Sciah, loro alleato regionale, e poi ha umiliato gli Usa occupandone l’ambasciata e prendendone per mesi il personale in ostaggio.

Ma l’entità delle proteste rivela anche le contraddizioni dell’Iran sul piano economico, sociale e politico a causa di un sistema politico che, anche a causa delle sanzioni occidentali, sul piano interno si è via via ripiegato su sé stesso mentre su quello internazionale ha acquisito maggiore influenza e capacità di iniziativa.

La guida suprema, l’83enne ayatollah Ali Khamenei, è ormai anziano e sin dalla sua ascesa, nel 1989, aleggiano voci sulle sue condizioni critiche di salute. L’attuale governo guidato da Ebrahim Raisi ha rafforzato entità decisamente invise alle donne e alle nuove generazioni, come la Gast-e ersad – la “Polizia Morale” iraniana – cosa che non avevano fatto i suoi predecessori, Mahmoud Ahmadinejad e Hassan Rohani.

In questi anni il paese, sottoposto alle sanzioni occidentali, è stato poi fortemente colpito dalla pandemia di Covid-19 e dalla riduzione del prezzo del petrolio, che l’Iran riesce ad esportare verso l’Asia nonostante le sanzioni.

Pur in una condizioni estremamente difficile, l’Iran si è dimostrato un paese con ampie risorse umane e scientifiche, lo dimostra lo stato di avanzamento del programma nucleare (nonostante i sabotaggi e gli omicidi mirati israeliani), ma anche la produzione di droni avanzati come quelli venduti alla Russia in queste settimane per la guerra in Ucraina.

Ma queste punte avanzate stridono con una situazione economica diventata sempre più critica. Tra il 2018 e il 2020 l’economia iraniana si è contratta di circa il 12 per cento, mentre secondo stime del ministero iraniano delle Cooperative il numero degli iraniani poveri è passato da 22 a oltre 30 milioni. La classe media iraniana è passata dal 45 per cento al ​​30 per cento della popolazione. Insomma si assiste ad una polarizzazione sociale fortemente accentuata.

Il tasso di inflazione su base annua è salito al 41,5 per cento nel mese di agosto, mentre l’inflazione mensile ha toccato, secondo i dati riportati dal Centro di statistiche dell’Iran il 52,2 per cento. Il tasso di disoccupazione tra i giovani iraniani tra i 15 e i 24 anni si è attestato al 24 per cento nel primo trimestre dell’anno iraniano in corso (21 marzo 2022 – 21 giugno 2022).

In sostanza le condizioni oggettive – e  dunque le ragioni – per un conflitto sociale e civile in Iran sono presenti in abbondanza. Che su queste agiscano anche le aperte ingerenze di Stati Uniti e Israele per la destabilizzazione del paese è evidente, ma è anche solo una parte del problema. Saper distinguere le due dinamiche, i relativi interessi come anche le conseguenze è vitale. I processi di liberazione ed emancipazione sociale sono sempre da sostenere, le manovre dell’imperialismo sempre da condannare.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

2 Commenti


  • Giancarlo Staffo

    Condivido articolo, sottolineando però che le pesanti ingerenze occidental, con sanzioni economiche pretestuose, generano sempre malessere sociale e destabilizzazione, in Iran come in tanti altri paesi non allineati e dichiarati “canaglia”.


  • marco

    e intanto l’esame autoptico sembrerebbe rilevare che la povera amini (ma pare che il suo nome i “colorati” se lo siano già scordato) sia morta davvero a causa di un malore dovuto al fisico minato dai postumi di un tumore al cervello per il quale era già stata operata all’età di otto anni e per cui continuava le terapie.
    Forse al momento del fermo non era in quest’ottima forma fisica come hanno urlato per mesi i vari umanitarsti ad orologeria.
    Nessuna simpatia per nessuna teocrazia al mondo.
    Sia essa islamica, cristiana, hindù o buddista-tibetana, ma in questa fase storica eviterei di prestare il finaco a strumentalizzazioni funzionali solo alla sopravvivenza dell’imperialismo USA.
    La belva americana è certamente ferita gravemente, ma con la forza della disperazione può ancora dare pericolose zampate.
    Direi di preoccuparci di eliminare l’imperialismo che ci opprime direttamente prima di concentrarci su sistemi certamente oppressivi, ma lontani e molto, molto, molto meno pericolosi per la nostra libertà, la pace nel mondo e la sopravvivena stessa della civiltà umana.
    In fondo anche Mao dialogò con un fanatico reazionario e anticomunista come Neru pur dare impulso al movimento dei non allineati e alla decolonizzazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *