Terrorista islamico arrestato: «Pericolo imminente, voleva colpire nel Napoletano»

diTitti Beneduce

Caccia al libico che ha ordinato l’attacco al gambiano arrestato a Licola. Il gip: «Accertata disponibilità a compiere azioni di natura stragista»

La missione accettata da Alagie Touray, il giovane gambiano fermato una settimana fa a Licola dopo avere fatto circolare un video in cui giurava fedeltà al Califfato, «comporta il pericolo del compimento di un atto terroristico nella zona napoletana quale attuale e imminente». Lo scrive il gip Isabella Iaselli nell’ordinanza con cui, condividendo le valutazioni dell’aggiunto Rosa Volpe e del pm Gianfranco Scarfò, ha convalidato il fermo dell’immigrato.

«Nè in senso contrario — si legge ancora nella misura — può argomentarsi dalle dichiarazioni confessorie dell’indagato, rese sempre in un’ottica difensiva volta a minimizzare la propria condotta nella speranza di tornare libero e completare la missione bloccata dal tempestivo intervento delle forze di polizia». Non solo: l’indagato, secondo il gip, deve stare in carcere perché «deve considerarsi la natura permanente del reato — in presenza di un circuito terroristico operativo anche nella zona napoletana — e la accertata disponibilità a compiere azioni di natura stragista (quali quelle realizzate in altri Paesi europei tra cui la Germania, la Spagna, la Francia) rivolte verso una moltitudine indiscriminata di soggetti con l’accettazione del martirio per l’autore dei gesti, anche in vista degli aiuti economici alla famiglia».

Insomma, anche se ancora ieri il procuratore, Giovanni Melillo, invitava alla massima cautela e ribadiva che notizie certe sulla preparazione di un attentato non ci sono, dall’ordinanza emerge tutta la potenziale pericolosità dell’indagato. Che, a differenza di tantissimi delinquenti comuni arrestati ogni giorno, non è stato portato a Poggioreale, ma al carcere di Benevento: una struttura più nuova (è stata inaugurata negli anni Ottanta) e molto meno affollata, nella quale Touray può essere agevolmente controllato e tenuto separato da altri detenuti radicalizzati. Può inoltre, come prevede la normativa, chiedere di mangiare pietanze ammesse dal suo credo, pregare, chiedere libri anche di contenuto religioso.

Intanto gli investigatori (Digos e Ros, coordinati rispettivamente da Francesco Licheri e Gianluca Piasentin) sono al lavoro per ricostruire i contatti tra l’indagato e il misterioso cittadino libico che gli avrebbe chiesto di prendere un’auto e falciare la folla in cambio di denaro. Non solo: stanno anche cercando di capire se Alagie Touray, in quest’anno di permanenza in Italia, abbia stretto rapporti con italiani o con altri immigrati. L’imam della moschea di Licola, all’uscita dalla quale il gambiano è stato arrestato, sostiene di non conoscerlo: «Non lo abbiamo mai visto. Non è vero che frequentava questo luogo di culto. Noi abbiamo appreso del suo arresto solo ieri dai giornali e dalle televisioni; non mi pare che l’arresto sia avvenuto qui. Tutto questo non è corretto».

Visibilmente contrariato dal clamore che la vicenda ha suscitato sulla moschea, l’imam ha spiegato all’Ansa : «Noi qui lavoriamo per la pace e la verità ed accogliamo fedeli di tutte le nazionalità. Quello lì, però, non lo abbiamo mai visto». Di certo c’è che Alagie Touray era ospite del centro di accoglienza «Circe» di via Sibilla, che dista poche centinaia di metri dal luogo di culto islamico, e si sarà potuto confondere tra i tanti frequentatori della moschea. Ieri mattina si è svolta regolarmente la giornata di preghiera. Si sono registrati arrivi alla spicciolata di gruppetti di fedeli, ma non c’è stata l’affluenza degli altri venerdì.

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28 aprile 2018 2018 ( modifica il 28 aprile 2018 2018 | 10:09)