Quella piramide sbilenca

diErnesto Mazzetti

Meno bambini sono entrati quest’anno nelle scuole elementari della Campania; e meno ragazzi nelle scuole secondarie. Un calo ulteriore rispetto a quello di anni precedenti. Non indugio sulle cifre fornite dal competente Ministero. Dico solo che sono fenomeni che suscitano apprensione. Per motivi che da tempo conosciamo. E per qualche altro che, pur non inedito, si aggiunge a completare un quadro già oscuro. Una prima spiegazione la si trova nel passato recente. Meno bambini e ragazzi vanno a scuola per la semplice ragione che, in Italia, quella che gli esperti chiamano la «piramide delle età», è venuta modificandosi. Da oltre un decennio la piramide non è più tale: è divenuta sbilenca. La base, corrispondente alla fascia dei soggetti da 0 a 4 anni, s’è ristretta. E così è accaduto per le fasce d’età immediatamente superiori. Non siamo più di fronte al disegno d’una piramide: oggi il grafico della ripartizione per classi di età della nostra popolazione sembra il disegno di un’anfora: stretta in basso, panciuta nel mezzo (l’area delle classi di media età, fino alla soglia dell’anzianità); e sempre più stretta allo sbocco (l’area dei vecchi).

Significa che di bambini ne nascono sempre meno da molti anni. E che, nonostante la vita media si sia allungata per gli uomini e soprattutto per le donne, il numero dei morti da qualche anno sopravanza il numero dei nati. Risultato: nonostante l’arrivo di qualche milione di immigrati, la popolazione italiana dal 2018 è scesa sotto la soglia dei 60 milioni che aveva superato dal 2013 al 2017. Stupisce, semmai, che le regioni meridionali, definite fino al dopoguerra, con spregio, la «conigliera d’Italia», contribuiscano all’andamento demografico negativo. Le donne meridionali fanno meno figli di quelle del Centro Nord. E si capisce. Fare un figlio in una realtà economicamente e socialmente carica di problemi è impresa che richiede coraggio. Son remoti i tempi in cui il quadretto familiare prevedeva, pur in uno scenario di miseria, donne che tiravano su nidiate di bambini e uomini che in qualche modo faticavano. Mutati i tempi, le esigenze, i consumi. Oggi le donne lavorano. Devono farlo. Anche se al Sud in numero ancora insoddisfacente. Non ci sono, o non bastano, sostegni pubblici alla gestione d’una famiglia in cui tutti i componenti devono lavorare: insufficienti gli asili, le scuole materne, l’assistenza sanitaria. Una seconda ragione è che l’emigrazione dal Mezzogiorno, che non s’è fermata, anzi cresce, non riguarda solo maschi in età di lavoro, ma anche donne in età feconda. Le quali, se faranno un figlio, lo partoriranno al Nord o all’estero.

Altri motivi s’aggiungono a quelli connessi alla demografia, giustificando il sentimento d’apprensione. Si riferiscono soprattutto alla Campania; ancor più a Sicilia e Calabria. Se cala l’afflusso alle scuole elementari e secondarie di bambini e ragazzi, non dipende soltanto dalla minor produzione (diciamolo così, brutalmente) di nuovi nati delle giovani donne. Dipende anche dal fatto che ci sono bambini giunti in età scolare che a scuola non vanno; soprattutto ragazzi che dopo l’istruzione primaria non proseguono gli studi. Il Miur ed altre istituzioni forniscono maree di dati. Dai quali si capisce che, già prima della pandemia, il 15 per cento degli studenti usciva in anticipo dal sistema scolastico. Anche se da bambini avevano frequentato le elementari e da ragazzi s’erano iscritti alle secondarie. Il Covid ha peggiorato le cose. Dopo i 14 anni fuggono dalla scuola soprattutto i maschi, i figli di immigrati, quelli bocciati. L’incidenza maggiore è nel Sud. Quanti continuano non sempre raggiungono buoni risultati: troppi diplomati della terza media presentano lacune in italiano, inglese e matematica.

Molte indagini cercano di spiegare il perché di tanta evasione scolastica: fenomeni di bullismo, criminalità, droga. Solo colpa dei ragazzi? Certo che no. C’entra il disagio evolutivo. Ma la fuga dalla scuola, quando sommata a contesti familiari inadeguati, a condizionamenti ambientali, è facile che spinga a una deriva verso comportamenti cosiddetti devianti. Violenti. Nei primi otto mesi di quest’anno in Campania si sono verificati 25 mila reati commessi da minorenni. Non c’è fine settimana che non registri qualche episodio di «cavalleria rusticana» tra ragazzi: coltelli facili tra balordi di periferia? Temo il diffondersi d’una cultura camorristica che l’educazione scolastica non riesce a debellare.

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21 settembre 2021 2021 ( modifica il 21 settembre 2021 2021 | 07:52)