28 agosto 2018 - 09:32

Da Safilo a Melegatti (passando per Wambao), i fronti caldi della ripresa

Il colosso degli occhiali in cima ai timori del sindacato

di Gianni Favero

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VENEZIA Sul teatro dell’economia veneta 10 anni di selezione darwiniana hanno fatto il loro corso. Chi non aveva forza o strumenti per stare sul mercato si è estinto o ha cambiato pelle e alla fine dell’estate 2018, la prima davvero senza ansia da cancello sbarrato al ritorno dalle ferie, i punti di domanda riguardano la sopravvivenza o meno di alcuni dinosauri. Non ci sono più, cioè, interi settori in crisi falcidiati da licenziamenti collettivi ma ingombranti casi di singole aziende con malattie che poco hanno a che fare con il mercato.

Safilo

La madre di tutte le battaglie, nella classifica delle criticità stilata dal segretario generale di Femca Cisl, Stefano Zanon, è Sàfilo. Dopo il cambio di amministratore delegato e le speranze deluse che i conti del primo semestre 2018 fossero incoraggianti (invece le perdite per 13,9 milioni sono più profonde dell’anno scorso e le vendite sono a -10%), si attende di capire come inciderà sull’organico il piano industriale firmato dal nuovo Ad, Angelo Trocchia. A temere più di tutti sono i dipendenti della sede bellunese di Longarone (le altre sono a Padova, Santa Maria di Sala e Martignacco, in Friuli) reduci da un lungo periodo di cassa integrazione. Tra i nodi che Trocchia deve sciogliere, prima di decidere, pare vi siano quelli legati a trattative su alcuni marchi e con gli istituti di credito, in riferimento alla scadenza di un bond da 150 milioni, il prossimo novembre.

Wanbao Acc

Per rimanere nel Bellunese ma cambiando settore, nel pur risanato metalmeccanico è evidente l’incognita di Wanbao Acc di Mel. La fabbrica di compressori per elettrodomestici a proprietà cinese, rischia di dover esonerare 90 dipendenti su 400 e in queste ore c’è un fitto ragionamento fra sindacati e lavoratori per verificare la percorribilità di una riduzione per (quasi) tutti delle ore di lavoro a fronte di un salvataggio generale. Si tratterebbe di passare da 8 a 6 ore (non è un contratto di solidarietà, significa guadagnare il 25% in meno) e la formula genera ovviamente qualche mal di pancia. «Una proposta di soluzione dobbiamo darla entro questa settimana – sottolineano i sindacati – nella speranza che l’azienda accetti perché, calcolatrice alla mano, con questo metodo gli esuberi sarebbero comunque una trentina».

Ideal Standard

Il territorio, ad ogni modo, sta cercando la via per assorbire i lavoratori di troppo in altre aziende ma, poco più in là, a Trichiana, il Bellunese espone un altro tallone d’Achille con la crisi di Ideal Standard, controllata da un fondo straniero (l’australiano Anchorage Capital Partners). Quasi 300 dipendenti su 600 sono in cassa integrazione, c’è un anno di tempo per individuare 90 esuberi volontari. Sulla ceramica per sanitari la concorrenza di produttori asiatici, europei orientali e persino nordafricani è sempre più serrata e protezioni doganali, a differenza di quanto avviene ad esempio per le piastrelle, non ce ne sono.

Luxottica

Scendendo in pianura e transitando per Pederobba (Treviso), non mancano preoccupazioni per il rinnovo dell’integrativo nello stabilimento Luxottica. Al netto dei problemi che potrebbero presentarsi nella fusione del secolo fra il colosso agordino e i francesi di Essilor, percorso che, sostiene Nicola Brancher (Fmca Cisl) non sarà breve né facile. Ma il caso è marginale rispetto al dossier Olimpias, società da sempre collegata al Gruppo Benetton, i cui esuberi difficilmente potranno essere riassorbiti dalle manovre di riorganizzazione di Ponzano Veneto, dopo il flop della tripartizione del 2015 in cui Olimpias fu scorporata dalla casa madre. Vicenda complessa e tutta da dipanare.

Pasta Zara e Melegatti

Altre due grosse questioni che toccano il Veneto, infine, sono Pasta Zara, in attesa del concordato preventivo, e il fallimento di Melegatti. Nel primo caso si attende l’individuazione di un partner di capitale che possa intervenire (Veneto Sviluppo potrebbe non restare a guardare), nel secondo l’esito di una nuova gara per la vendita della società (base 13,5 milioni, con tutti i dipendenti già licenziati e casomai da riassumere). Tutto questo mentre le segreterie di Cisl e Cgil individuano, all’unisono, motivi di preoccupazione generali e più alti: «La mancanza di politica industriale del governo – dicono Gianfranco Refosco e Christian Ferrari – e le ricadute che i dazi Usa avranno su una regione fortemente esportatrice qual è il Veneto».

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