Filippo Maniero: «Non lavoro, ho saputo gestire bene i soldi del calcio. Veline? Sto con mia moglie da quando ho 19 anni»

diDimitri Canello

L'ex calciatore si racconta: «Non mi sono montato la testa e ho subito risparmiato. Baggio il più forte, ma con Recoba mi sono trovato meglio»

Vivere di rendita grazie al calcio. Si può, così come si può vivere senza calcio. Filippo Maniero ha compiuto da poco 51 anni, ha avuto una carriera felice, accanto a grandissimi campioni, disturbata da qualche infortunio di troppo, è riuscito coronare il sogno di vestire la maglia della squadra per cui tifava (il Milan), ha scelto quando smettere e si è messo da parte in punta dei piedi. Oggi ha una famiglia felice, una moglie che sta con lui da oltre 30 anni, due figli che giocano entrambi a pallone. Grazie a un'egregia gestione del patrimonio e del denaro guadagnato quando era all'apice della carriera, oggi non lavora, ha fatto per qualche anno l'allenatore nei dilettanti e osserva le vicende del dio pallone con distacco e senza particolari tumulti del cuore. Lui, baciato dalla fortuna e dalla bravura negli anni d'oro, oggi è un ottimo padre e un buon marito. Una persona semplice che viene dal basso, ma che è sempre rimasto lo stesso: un uomo umile e senza velleità di grandezza, accerchiato da tanto amore e tanto affetto anche da parte dei tifosi..

Maniero, cosa le ha dato il mondo del calcio negli anni in cui era professionista?
«Mi ha dato tutto. Fama, soldi, popolarità, mi ha permesso di trasformare in un lavoro una mia grande passione. Io ero figlio di un operaio dell'Enel, venivo dal basso, da una famiglia umile e che viveva in modo essenziale. Da mio padre ho imparato a gestire il denaro, a non fare mai il passo più lungo della gamba».

Come si è sentito quando la sua professione economicamente ha cominciato a darle grandi entrate?
«Non mi sono mai montato la testa. Era una sensazione nuova, io che dovevo stare attento a tutto improvvisamente non avevo più alcun problema. Ma dentro di me c'è sempre stata la consapevolezza che un giorno quel privilegio sarebbe finito. Per questo già allora cominciai a mettere via soldi affidandomi a chi ancora oggi mi amministra il patrimonio».

Che indicazioni gli ha dato?
«Nessun investimento rischioso, nessuna manovra spericolata. Sempre il passo lungo quanto la gamba, come mi insegnò mio padre da quando ero piccolo».

Quindi un calciatore può vivere di rendita?
«Se arriva ad alti livelli e ha la testa sulle spalle assolutamente. Dirò di più, per me è una cosa assolutamente normale. Ho avuto una grande fortuna e ho cercato di non dilapidarla, mi sono concesso qualcosa, ho rinunciato all'auto che costa quanto una casa, alla scarpa firmata, a qualche altro vizio di cui si può benissimo fare a meno».

Cosa fa lei attualmente?
«Non ho un lavoro vero e proprio. Mi sono fermato da due anni, dopo aver allenato in categorie dilettantistiche con il patentino di base».

Non le hanno mai offerto un ruolo dirigenziale nelle serie professionistiche?
«A livello professionistico mai. Devo dire, però, che non mi è mai interessato particolarmente. Non l'ho cercato e ho sempre pensato che se qualcuno avesse avuto bisogno di me sapeva dove trovarmi e ne avremmo parlato»

Lei è sempre stato una sorta di antidivo del mondo del pallone. Lontano dal mondo di veline e calciatori di molti suoi colleghi
«Non mi è mai interessato. Io ebbi la fortuna di conoscere mia moglie Elisa quando avevo 19 anni e facevo il militare. Giocavo già a calcio (“ma non era ancora famoso, non l'ho sposato per quello”, ride Elisa accanto a lui) e altro non mi interessava. Con lei ho fatto due figli, Andrea e Riccardo».

Mai avuto avances particolari per il suo essere calciatore?
«Come le ho detto, se uno certe cose non le cerca, non accadono. Sono accanto a Elisa da oltre trent'anni e sto bene. Ho sempre avuto tutto quello che desideravo con lei»

I suoi due figli giocano a calcio?
«Entrambi. Il primo in Seconda categoria nella squadra del paese, il secondo ha 15 anni ed ha ancora tempo per combinare qualcosa. Vedremo... Ma a me basta che siano felici, tutto il resto è un di più».

Quali sono le cose che le hanno lasciato una traccia maggiore della sua professione di calciatore?
«Vivere lo spogliatoio di squadre dove c'erano tanti campioni. Sono riuscito a giocare nel Milan, la squadra per cui facevo il tifo sin da bambino e sono stato accanto a grandissimi giocatori».

Ce ne ricorda qualcuno?
«Stromberg, Evair, Caniggia, Baggio, Mancini, Karembeu, Zenga, Recoba, Weah, Savicevic, Boban. Sono i primi che mi vengono in mente, ma ce ne sono tanti altri»

Il feeling maggiore?
«Con Recoba a Venezia. Non ci conoscevamo, ma sembrava giocassimo insieme da anni già dai primi allenamenti. Io sapevo esattamente dove mi avrebbe messo la palla. E con lui accanto segnai tantissimo e riuscimmo a salvare il Venezia, portandolo a raggiungere una delle posizioni in classifica migliori della sua storia».

Baggio?
«Il più forte con cui ho giocato, senza alcun dubbio. Facevamo le traversate da Padova e da Vicenza insieme in auto e parlavamo in dialetto. Il rammarico è di non essere stato nelle condizioni di poter fare quello che avrei voluto. Purtroppo il mio fisico era logoro e dava i primi segni di cedimento. Infatti ho smesso relativamente presto».

Com'è stato il momento in cui appese le scarpe al chiodo?
«So che per molti è un passaggio delicato e difficile. Io mi sentii stralunato e fuori fase due giorni, poi passò tutto. Ero consapevole di aver chiuso un capitolo della mia vita e avevo fatto 17-18 anni di carriera importanti. Non mi ero trovato nelle condizioni di Van Basten, tanto per fare un esempio, che fu costretto a smettere giovanissimo. Quello che dovevo fare lo avevo fatto, ero sereno».

Quando capì di essere alla fine?
«Negli ultimi due anni, a Torino soprattutto, avevo un sacco di problemi. Capivo di non poter dare il 100%, se nel professionismo non sei al top puoi fare tante figuracce. Non ho avuto problemi ad ammettere a me stesso che era il momento di lasciare».

Segue ancora il calcio?
«Lo guardo, sì, ma non ne faccio una mania. Dopotutto si può vivere anche senza. Sono cambiate tante cose rispetto ai miei tempi, molte non in meglio purtroppo»

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23 marzo 2024