1 settembre 2018 - 08:11

Migranti, l’ex prefetto di Padova Patrizia Impresa: «Noi, lasciati soli. Porcate? L’aver dovuto aprire i grandi hub»

di Andrea Priante

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«Ma lei se lo ricorda quel periodo?».

Dal 2015 allo scorso anno?

«Sì, lo ricorda? Arrivavano i pullman carichi di profughi: una, due, anche tre volte in una settimana. E noi da qualche parte dovevamo metterle, quelle persone. Ma non erano certo le benvenute, mentre dal governo centrale arrivavano continue pressioni per accoglierli. È lì che ho maturato il concetto della “solitudine dei prefetti”. Eravamo lasciati soli ad affrontare un fenomeno nuovo nella Storia del nostro Paese». Patrizia Impresa oggi è prefetto a Bologna. Ma nelle carte della maxi-inchiesta della procura sugli appoggi di cui godeva Ecofficina nella gestione dei centri di accoglienza per i migranti, compaiono le intercettazioni di quando era lei a guidare la prefettura di Padova. E se fonti investigative continuano a ripetere che «non è emerso nulla di penalmente rilevante» nei confronti di Impresa, resta che la sua immagine ne esce a pezzi. «Sono profondamente amareggiata» ammette. «Hanno preso delle frasi, le hanno estrapolate da conversazioni più ampie. E così, fuori contesto, sembra che abbia fatto delle cose sbagliate. Invece mi sono sempre comportata onestamente, nel rispetto del mio ruolo di prefetto e della città di Padova».

Andiamo con ordine. Il suo vice Pasquale Aversa è accusato di rivelazione di segreti d’ufficio: avvisava in anticipo Ecofficina dell’arrivo degli ispettori. Possibile che lei non ne sapesse nulla?

«Nulla, se avessi sospettato che uscivano delle informazioni dagli uffici avrei denunciato subito. Detto questo, resto convinta che Aversa, persona che stimo e ho imparato a conoscere molto bene, saprà dimostrare di non aver fatto nulla di illecito. Ne sono sicura».

Proprio ad Aversa, in una conversazione intercettata dai carabinieri, lei dice: «È vero che ne abbiamo fatte di porcherie, però quando le potevamo fare…».

«Prima accennavo al contesto di quegli anni, agli sbarchi e alle pressioni che noi prefetti subivamo sia da parte di chi ordinava che trovassimo continuamente nuovi alloggi, sia dal fronte opposto, che pretendeva non lo facessimo. Ecco, parlando di “porcate” intendevo dire che, nel mio ruolo, ho dovuto assumere delle decisioni che non mi piacevano affatto».

Quali?

«Quella di creare degli hub, innanzitutto. Non era quella la soluzione e tutti sapevano che, in un contesto del genere, le condizioni di vita per i migranti non sempre avevano degli standard accettabili. Però la micro-accoglienza era impraticabile, visto che il territorio si opponeva».

Qualche altro esempio?

«Penso ai primi tempi, quando nessuno sapeva quali caratteristiche inserire nei bandi visto che non esisteva alcun precedente. Si faceva il possibile, ma mancavano gli strumenti giuridici per capire cosa andava fatto: all’inizio nessuno diceva neppure quali fossero i requisiti minimi necessari a gestire i centri di accoglienza. Le prime circolari dell’Anticorruzione risalgono al 2017, le indicazioni più specifiche addirittura al 2018».

Il risultato è che, secondo la procura, un bando della prefettura sarebbe stato creato ad hoc per far vincere Ecofficina...

«Delle gare, però, si occupavano i tecnici, non il prefetto. Quindi non potevo certo sapere se qualche funzionario si comportava in modo poco corretto...».

In una intercettazione, una funzionaria preme su Ecofficina affinché assuma una ragazza che sostiene sia stata segnalata da lei...

«Non è vero. Simone Borile, il patròn di Ecofficina, l’ho incontrato un’unica volta in occasione di un sopralluogo a Bagnoli. Francamente, lo dico da mamma, non segnalerei alcuna ragazza per lavorare in un posto come quello. Servono dei professionisti già formati, persone che sappiano affrontare le criticità di un simile contesto...».

Al telefono ipotizzava anche di fornire al ministro un dato delle presenze a Bagnoli inferiore del reale.

«Non ricordo quella specifica conversazione. Però si parlava continuamente dell’opportunità di alleggerire quell’hub, organizzando dei trasferimenti»

In un’altra intercettazione, parlando sempre al suo vice Pasquale Aversa, gli spiega che «dobbiamo fare schifezze, Pasquà… eh no… schifezze… noi ci dobbiamo salvare Pasquà… perché ti ripeto non possiamo farci cadere una croce che…».

«Anche questa frase va contestualizzata. Innanzitutto la mia principale preoccupazione non era quella di essere trasferita a un altro incarico, anche perché francamente non credo ci sarebbe stata la fila di persone disposte a fare il prefetto a Padova, visti tutti i problemi che andavano affrontati».

Eppure lei diceva di volersi «salvare».

«La necessità di “salvarsi” va interpretata in senso più ampio: in quel momento, in cui ci sentivamo sotto attacco da più fronti, non era solo la mia poltrona in gioco, ma la credibilità stessa dell’istituzione che rappresentavo».

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