30 luglio 2018 - 08:32

Il ritorno in scena di Paolini: «Io come una croda crollata»

Sul Monte Tomba (Treviso), luogo simbolo della Grande Guerra il recital, unico spettacolo non cancellato dopo l’incidente d’auto in cui è morta una donna. Il rifiuto del premio Pelmo: «Niente è come prima»

di Emilio Randon

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Marco Paolini in scena sul Monte Tomba (Foto Balanza)
Marco Paolini in scena sul Monte Tomba (Foto Balanza)

«Siamo dèi amorevoli e capricciosi, a volte salviamo, altre siamo distratti e indifferenti giriamo la testa dall’altra parte». Era il giorno prima dell’incidente e Marco Paolini appariva stanco. Gli dèi di cui parlava siamo noi occidentali e, a Maurizio Mannoni che in collegamento con Linea Notte gli chiedeva cosa pensava dei migranti affogati nel canale di Sicilia, il drammaturgo ripeteva che la sua opinione non contava niente: «Il mio lavoro casomai è raccontare cosa accade». Parola più parola meno, grosso modo si espresse così. Aveva appena finito lo spettacolo all’Arena di Verona («Il calzolaio di Ulisse»), era visibilmente infastidito e quelle parole ora suonano tragicamente anticipatorie. «Senza vincitori né vinti» si chiama lo spettacolo scritto insieme a Simone Cristicchi, messo in scena sabato e domenica sul Grappa, sul Monte Tomba, uno dei tanti luoghi che videro il massacro della Grande Guerra.

Marco Paolini prima del recital sulla Grande Guerra sul Monte Tomba (Treviso) (Foto Balanza)
Marco Paolini prima del recital sulla Grande Guerra sul Monte Tomba (Treviso) (Foto Balanza)

All’inviato di Repubblica che l’altro giorno lo aveva raggiunto durante le prove andandogli incontro disse: «Non pugnalarmi, sono già all’inferno». Si può distrarre uno che della cura umana, della fragilità dei sentimenti e dell’ingiustizia del dolore ha fatto la sua missione di vita? Sì, certamente lo era quando al volante della sua Volvo, il 17 scorso, tornando da Verona, ha tamponato una Fiat 500 provocando la morte di una donna, Alessandra Lighezzolo: per lui, un uomo che ha fatto dell’attenzione umana, della cura e del rispetto degli individui un mestiere è un peso e una colpa insopportabili.

«Una tragedia impossibile da superare», ha detto il suo impresario Francesco Bonsembiante. Ed è quest’uomo, lo stesso, che è salito sul palco del monte Tomba, il suo primo spettacolo la sua prima apparizione pubblica dopo la disgrazia, nascondendo il dramma interiore, tenendoselo stretto dentro, senza farne parola.

Marco Paolini nel recital con Simone Cristicchi sul Monte Tomba (Foto Balanza)
Marco Paolini nel recital con Simone Cristicchi sul Monte Tomba (Foto Balanza)

Nei giorni scorsi aveva disdetto premi e uscite, al presidente della giuria che assegnava il premio «Pelmo d’Oro», il presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin, aveva inviato una lettera: «Non posso partecipare alla cerimonia, vi prego di comprendere la mia impossibilità. Il mio carattere somiglia alle Alpi, nel bene e nel male, le crode sembrano eterne, poi un giorno un pezzo viene giù di schianto e quel che resta è un po’ diverso di prima. Uno di questi schianti è successo anche a me e niente è più come prima». «Senza vincitori né vinti», gli deve essere sembrato un buon punto per ripartire, l’unico possibile forse, dove si parla di vittime incolpevoli, di crudeltà insanabili e del dolore di chi ha la memoria per ricordare. È il punto di vista degli dèi quando non sono distratti.

La folla che ha seguito lo spettacolo di Paolini sul Monte Tomba
La folla che ha seguito lo spettacolo di Paolini sul Monte Tomba

C’erano duemila persone ad attenderlo in cima al Grappa che lo hanno seguito commosse. Il pubblico che sapeva del suo dolore e che forse cercava o si aspettava di trovarne un eco nella recitazione, in qualche punto del testo, nel tragico barbiere di trincea rimembrante e ancora vivo passato indenne dal tritacarne. Qualcuno ha creduto di poterlo percepire, in fondo di lutto e del ricordo della morte si parlava, tutti raccontati alla maniera di Paolini, tirando i fili della memoria presa da un sopravvissuto. Negli spettacoli di Paolini il punto di partenza della narrazione è sempre laterale, parte lontano, dal ricordo di un testimone minore, come il vecchio soldato di ieri sera che scampato e dolente ricorda di quando tagliava i capelli ai commilitoni e li vedeva morire. Il pubblico sapeva e capiva. E se non ha trovato quel che poteva esserci, lo troverà un’altra volta, sicuramente ci sarà un’altra occasione. Per un uomo come Paolini che da sempre filtra e lascia decantare nell’anima il senso delle cose per poi raccontarle e farne spettacolo, ci sarà sicuramente un’altra occasione, un’altra recita in cui troverà per dire l’insostenibile di quanto gli è accaduto. La croda è crollata e «niente è più come prima».

È un artista e un autore, è nel sentimento che nascono le sue opere e prima o poi troverà il modo di raccontare, nella forma che deciderà lui, ciò che gli è accaduto con parole comunque travestite, in metafora o attribuite ad un’altra voce che sia capace dello stesso dolore. È questo che il pubblico si aspetta. «Senza vincitori né vinti» parla di un barbiere soldato, uno che attraversa il tempo, un viaggiatore non diverso dal «calzolaio di Ulisse» che Paolini ha messo in scena a Verona. «Ulisse non è un marinaio — spiegava il commediografo quella sera a Mannoni — è solo uno che si imbarca e che disperatamente cerca di tornare a casa, uno che paga con l’esilio la strage dei proci una volta tornato e che ancora una volta è costretto a rimettersi in viaggio per vedere casa». Anche Paolini ricorda e viaggia, come il giorno dell’incidente e come sul Monte Tomba, tornato sul palco con un dolore e una pena che aspettano solo la sua voce.

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