21 settembre 2018 - 09:34

Treviso, il sacerdote prende a schiaffi la «fabbrica» del Prosecco

La denuncia: no ai pesticidi, torni all’antico

di Carlo Cecino

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TREVISOI viticoltori della Marca non assistevano a una vendemmia così prosperosa da anni. Sono stati prodotti così tanti quintali d’uva, sulle vigne d’oro trevigiane, che molti produttori sono stati costretti a svendere ampia parte del raccolto. Don Alessio Magoga, direttore dell’Azione, settimanale della diocesi di Vittorio Veneto, nel suo ultimo editoriale ha però scelto di mettere sotto la lente della critica alcuni aspetti dell’ultima vendemmia a diciotto carati. Nelle prime righe, il sacerdote tocca questioni spinose (ri)emerse anche di recente: «L’uso poco oculato dei pesticidi, il sospetto di forme di sfruttamento della manodopera soprattutto per la potatura e l’eccessiva diffusione del Prosecco che ha portato al conseguente rischio di una monocoltura». Magoga si sofferma su fatti di grande attualità, basti pensare alle lotte che Consorzi agrari e associazioni di agricoltori locali stanno intraprendendo contro l’uso di pesticidi nelle terre del Prosecco.

La denuncia

Il parroco-giornalista di Vittorio Veneto analizza anche altri «effetti collaterali», derivanti dalla sovrapproduzione di mosto, e porta ad esempio i rovesciamenti d’uva trasportata dai rimorchi agricoli lungo il manto stradale: «Un certo scalpore hanno fatto soprattutto gli sversamenti di uva sulle strade, tanto da allarmare alcuni conducenti e in particolar modo i motociclisti». Simili episodi non si registravano da tempo, tanto da evocare a don Magoga le annate passate, nelle quali i raccolti generosi erano più frequenti. Momenti di generazioni precedenti, che il direttore dell’Azione ricorda felicemente: «Da noi, gente di pianura, è ancora abbastanza diffuso il vigneto di famiglia, la cui origine affonda le sue radici nelle tradizioni. Appezzamenti di terreno ai quali si tiene particolarmente, perché ricordano i genitori o i nonni».

L’auspicio

Vanno rispolverate le tradizioni, auspica il don, quando la vendemmia era un vero rito collettivo, che univa famiglie e generazioni: «Dagli anziani, la cui parola era piena di autorevolezza, sino ai bambini, che svolgevano le mansioni più semplici ed erano orgogliosi di dare il proprio contributo. Erano coinvolti persino gli animali, che facevano compagnia mentre si lavorava tutti insieme nei campi». Un pensiero, quello di don Magoga, che, forse, profuma un po’ di utopia passatista, ma tant’è. Le righe del sacerdote, ex parroco di San Fior, a un tiro di fucile da quella Conegliano che è il cuore del Prosecco, esprimono critica ma anche amore per il vino delle colline trevigiane, tanto da chiedere di «recuperare quell’amore per la terra e quell’attenzione alla qualità, perché l’agricoltura non diventi preda della speculazione finanziaria».

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