8 agosto 2018 - 09:27

Tav veneta, perchè no: «Costa troppo, a Nordest ci sono merci ricche e inadatte al treno»

Ponti, il consulente del governo: «In Francia l’hanno pagata un terzo»

di Claudio Trabona

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Il professor Marco Ponti
Il professor Marco Ponti

VENEZIAMarco Ponti, docente al Politecnico di Milano da poco in pensione, da sempre esperto di economia dei trasporti. È uno dei super-consulenti chiamati dal ministro Dario Toninelli per l’ormai famosa analisi costi-benefici che riguarderà anche la Tav veneta. Nel 2017 ha firmato uno studio che boccia senza tanti complimenti l’opera su questo piano.

Professore, partiamo dai costi. Lei parla di otto miliardi per completare la tratta da Brescia a Padova. «Sono gli ultimi dati ufficiali delle Ferrovie».

Sono troppi soldi? «Sì, rispetto ai benefici che ho calcolato io, cioè quando ho fatto l’indagine a mie spese un anno e mezzo fa. Se adesso verranno fuori dati nuovi ne terrò conto. Io parlo solo con i numeri, non con le opinioni».

Ma chi stabilisce che sono troppi? «Lo sa che un chilometro di Alta velocità in Francia costa circa un terzo rispetto all’Italia? Il problema è sempre nella misura dei costi di costruzione».

Magari perché da noi ci sono un territorio diverso e una burocrazia infinita. «Eh no parliamo di costi preventivi, i consuntivi possono anche essere il doppio».

E i benefici come si misurano? «Risparmio potenziale di tempo dei viaggiatori e delle merci, vantaggi ambientali, sicurezza, ma soprattutto la diminuita congestione sull’autostrada parallela. Diciamo che tenendo conto di tutto questo, se i costi fossero francesi, il progetto Tav da Brescia a Padova sarebbe senz’altro fattibile».

Invece dobbiamo fare i conti con quelli italiani... «E le previsioni sull’incremento di traffico passeggeri e merci, anche per quanto riguarda questa tratta, si sono rivelate irragionevolmente ottimistiche. Guardi che l’hanno ammesso anche gli stessi promotori»

Costi-benefici. Ragionando così, forse non sarebbero mai nate le ferrovie. La domanda neanche esisteva. «Sono nate con investimenti solamente privati. Infatti poi quando è diventata una roba statale, in Italia si sono fatte ferrovie assurde in posti assurdi».

Quindi? «Alcuni pezzi di Alta velocità rispondono positivamente alla prova costi/benefici, altri rispondono male. E non parliamo di redditività finanziaria, visto che nessuna linea ferroviaria ce l’ha. Le faccio un esempio: sulla Milano-Torino passano 50 treni al giorno, contro una capacità complessiva di 330 treni. Se ne passassero 150 al giorno, l’analisi costi/benefici sarebbe favorevole. Se invece continuano a passarne 50, come dicono gli ultimi numeri, a fronte di otto miliardi di costo, perché di questo si è trattato sulla Milano-Torino, la possibilità di rendere positivo l’investimento è forse sulla luna».

Applicando il ragionamento sulla Brescia-Padova? «Dico che i benefici non sono affatto piccoli ma con i dati che avevo raccolto io privatamente, non erano tali da superare questi costi».

La Brescia-Verona è difficile da fermare, ci sono i contratti già firmati per il primo lotto. «Questo lo vedranno gli avvocati e quelli che si occupano dell’aspetto finanziario. Posso solo ricordare che c’è un precedente: il ministro Bersani (11 anni fa,ndr) aveva cancellato tutti i contratti allora in essere con i consorzi dei costruttori, perché ottenuti in modo, diciamo così, “peculiare”».

C’è un forte allarme delle imprese venete sull’eventuale stop all’Alta velocità. Temono che così si fermi lo sviluppo. «Me lo dimostrino con i numeri. Quali sono i costi di trasporto adesso, quali erano 20 anni fa, perché le merci non vanno sul treno già oggi, e così via. La Francia ha investito tantissimo nell’Alta velocità, proprio per liberare capacità. Peccato che in quel Paese, nel frattempo, il trasporto merci su ferro sia diminuito del 40%».

Perché? «Se io porto merci povere e pesanti, il treno ha qualche vantaggio nel portarle su distanze lunghe. Se il tessuto produttivo è fatto di piccole imprese con alto valore aggiunto, di merci ricche e leggere, la cosa si fa assai più complicata. È difficilissimo portare sui treni i capi di Armani. Quindi, l’esempio francese si può applicare a quello del nostro Paese».

E la sicurezza? Abbiamo sotto gli occhi la tragedia di Bologna, figlia anche di un sistema che le merci le porta tutte su gomma. «Non è vero che il nostro sistema è malato, abbiamo la stessa ripartizione modale degli altri Paesi europei, fatta eccezione la Germania che però trasporta tante materie prime e tra l’altro con grandi imprese già storicamente connesse con la ferrovia. Le merci “pesanti” di cui parlavo».

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