27 novembre 2018 - 08:20

«Sono distrutto, ma tornerò». Povertà, rancori e Facebook: la nuova vita di chi sognò l’Isis

Dall’imam all’operaio. E la giovane Jihad ora studia all’università

di Andrea Priante

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La famiglia di Redzep Lijmani
La famiglia di Redzep Lijmani

Lo Stato Islamico è alle strette, anche se in Siria si combatte ancora. Molti jihadisti sono in fuga dalle forze di polizia o dalla vendetta dei civili. Altri, negano di aver mai preso parte alle atrocità della guerra, come la padovana Meriem Rehaily o la trevigiana Sonia Khedhiri, che ora implorano di poter tornare in Italia e riprendere la loro vita da dove l’avevano lasciata.

L’anatema che Lijmani pagò caro

Ma c’è anche chi il Veneto l’ha dovuto lasciare all’improvviso, prelevato all’alba dalla Digos e caricato sul primo volo per il paese d’origine. Sono i musulmani che vivevano qui e che sono stati espulsi su ordine del Viminale proprio perché considerati vicini alle posizioni dell’Isis. Uomini accusati di lanciare anatemi anti-occidentali o di coltivare un’interpretazione dell’Islam troppo radicale. Per capire come cambia la vita di chi viene cacciato dall’Italia con l’infamia di essere un filo-terrorista, abbiamo rintracciato alcuni di loro. Redzep Lijmani, ad esempio, abitava a San Zenone degli Ezzelini fino al 13 gennaio di due anni fa, quando fu espulso al termine di un’inchiesta del Ros. «Un profondo conoscitore del jihadismo», fu definito, anche dopo che uno dei suoi figli, di 9 anni, aveva esultato a scuola per gli attentati di Parigi: «Hanno fatto bene! Adesso andiamo a Roma e ammazziamo il Papa! Viva l’Isis», aveva strillato il bambino lasciando sconvolti compagni e insegnanti.

L’autista costretto a stare in Macedonia

Oggi Redzep ha 41 anni e vive in Macedonia con la moglie e i cinque figli. «Lavoravo in Italia da 22 anni, ero un uomo libero. Poi, all’improvviso, tutto è cambiato: mi hanno rispedito in quella che non sentivo più la mia patria. Qui sono uno straniero. La mia vita è distrutta, vivo nel terrore, le persone mi guardano con sospetto e molti amici mi hanno voltato le spalle. Ancora oggi i poliziotti mi controllano una volta al mese: vogliono sapere cosa faccio, chi incontro…». Lui, che quando abitava nel Trevigiano faceva l’operaio in una fabbrica di imballaggi, oggi tira a campare facendo l’autista. «Ma ho il divieto di lasciare la Macedonia e non è facile guadagnare a sufficienza per mantenere la mia famiglia. Vorrei tornare in Veneto: ho presentato ricorso in tribunale contro l’espulsione e non posso far altro che sperare che il giudice mi creda, quando dico che con i terroristi non c’entro nulla». E suo figlio? «Va a scuola e non vuole più sentir parlare dell’Italia: quando sui giornali comparvero tutte quelle bugie su di me e su quello che lui avrebbe detto in classe, fu preso di mira dai bulli…».

Bekaj, dalle bombe al servizio di cameriere

Arxhend Bekaj, 22 anni, fu espulso nell’aprile del 2017 con l’accusa di aver frequentato la cellula jihadista di Venezia che voleva far esplodere una bomba a Rialto. Da allora, vive in Kosovo. «Faccio il cameriere, lo stesso lavoro di quando abitavo in laguna, ma qui le paghe sono molto più basse. All’epoca riuscivo a mantenere la mia famiglia che era rimasta a casa, ora i soldi non bastano mai. In Italia ero riuscito perfino a mettere da parte 2.500 euro ma dopo l’inchiesta della procura il conto bancario è ancora bloccato. Quei soldi mi servono…». Bekaj racconta che anche gli altri connazionali espulsi perché considerati vicini dal gruppo terroristico sono ancora in Kosovo. «Nessuno se la passa bene. C’è chi non trova un impiego e chi, come il mio amico Mergim Gecaj, lavora in un ristorante. Vorremmo che qualcuno ci aiutasse a tornare in Italia, anche per dimostrare che non abbiamo mai voluto fare del male».

L’Imam che vive (bene) a Casablanca

Ma c’è anche chi, dopo l’espulsione, sembra passarsela bene. Anass Abu Jaffar, ha 30 anni e, secondo l’antiterrorismo, quando viveva nel Bellunese avrebbe assunto il ruolo di guida spirituale del piccolo gruppo di fedeli di cui facevano parte Ismar Mesinovic e Munifer Karamaleski, che nel 2013 lasciarono le Alpi per diventare combattenti dell’Isis. Oggi Jaffar vive a Casablanca, si è sposato e da qualche mese è diventato padre di una bambina. Dopo aver fondato la pagina Facebook «La scienza del Corano», accusata di propagandare idee estremiste, si guadagna da vivere con l’e-commerce (vende profumi orientali) e sui social pubblica versetti del Corano e promuove petizioni contro chi vorrebbe vietare la vendita del Niqab in Marocco. «Qui vivo bene, grazie a Dio. Un giorno tornerò in Italia – promette – ma solo per rivedere i vecchi amici, non mi interessa trasferirmici».

Madad, nuovo «medico spirituale» in Marocco

L’ex imam di Noventa Vicentina, il marocchino Mohammed Madad, 54 anni, fu rimpatriato nel 2016. L’accusa: aver predicato ai fedeli che frequentavano la sua moschea un Islam radicale. Dopo aver dato alla primogenita il nome Jihad, imponeva ai figli punizioni corporali per «farli diventare dei buoni musulmani». Oggi vive in Marocco «e qui stiamo molto bene, inshallah (se Dio vuole, ndr). Mia moglie fa la maestra e io il medico spirituale. Sinceramente, il Veneto non ci manca». Giura di non serbare rancore nei confronti dell’Italia «anche se resto convinto di essere stato vittima della politica del ministro Alfano». L’imam racconta il suo ritorno in Marocco: «Appena sceso dall’aereo mi portarono nella stazione di polizia, costringendomi a restarci per nove giorni. Per i miei figli non fu facile superare lo choc di trasferirsi in un Paese che praticamente non conoscevano. Eppure oggi stanno bene. Jihad, ad esempio, si è iscritta all’università. Se in futuro lei o i suoi fratelli vorranno tornare in Italia, saranno liberi di farlo. Per quanto mi riguarda, invece, sto bene dove sto».

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