20 dicembre 2018 - 08:29

Sanità, la Regione Veneto assume specializzandi per tamponare la carenza di medici

Approvato il Piano sociosanitario. Le Usl assumeranno medici di base al Pronto soccorso per smistare i pazienti meno gravi

di Marco Bonet

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VENEZIA La sanità veneta rischia il collasso, perché mancano all’appello 1.295 medici. Colpa della programmazione del ministero della Sanità, ha spiegato a più riprese il governatore Luca Zaia, e della cronica penuria di borse di studio per le specializzazioni (argomento al centro della trattativa autonomista, come il reclutamento «regionalizzato» di medici e infermieri). Ma come si può tamponare l’emergenza? La risposta, ardita perché ad alto rischio impugnazione, è arrivata mercoledì nell’ambito della manovra emendativa firmata da Sonia Brescacin al Piano socio sanitario, approvato in serata. Tre le strade individuate dalla maggioranza. La prima è l’assunzione a tempo determinato, da parte della Regione, degli specializzandi, che lavorerebbero in corsia retribuiti con regolare contratto (e dunque con contributi) al fianco dei colleghi che si sono aggiudicati la borsa di studio nazionale o regionale. Il loro tempo verrebbe suddiviso tra la teoria (30%) e la pratica lavorativa (70%). La seconda è l’assunzione da parte delle Usl di medici di medicina generale da impiegare per la gestione dei codici bianchi e dei codici verdi nei reparti di pronto soccorso (gli specialisti verrebbero così liberati per le vere emergenze) e la copertura delle guardie notturne e festive. La terza è l’attivazione di contratti libero-professionali per garantire le prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza. Sono poi previsti incentivi per i medici che accettano di lavorare nelle sedi disagiate, come la montagna (il Piano ribadisce la specificità del Bellunese, del Polesine e dell’area lagunare).

La Regione Veneto ha approvato il Piano socio sanitario (archivio)
La Regione Veneto ha approvato il Piano socio sanitario (archivio)

La mossa

Come si diceva, si tratta di una mossa al limite del provocatorio, che potrebbe essere impugnata davanti alla Consulta dal governo perché invasiva delle competenze statali in materia sanitaria, ma che ciò non di meno la maggioranza ha voluto portare avanti da un lato per dimostrare di voler dare una risposta ad un problema cogente, dall’altro per tenere alta l’attenzione nella delicata trattativa autonomista con Roma. Altro argomento oggetto di novità sono le medicine di gruppo integrate. Ideate nello scorso Piano socio sanitario come parte integrante della rivoluzione della rete di cura, al fianco degli ospedali hub & spoke (che vengono confermati) e delle strutture intermedie (hospice, ospedali di comunità, centri riabilitativi, saranno aumentati come chiesto dal Pd), non sono mai decollate a cause delle resistenze dei sindacati dei medici di medicina generale e delle perplessità della Corte dei conti e del ministero dell’Economia (il pagamento di infermieri e amministrativi da parte della Regione per il tramite dei medici di base, aumentando la base di calcolo per la pensione di questi ultimi, avrebbe generato un maggior esborso del 20% per Palazzo Balbi). Il vecchio Piano ne prevedeva 350, ad oggi se ne contano non più di 70, per 700 mila pazienti. L’opposizione parla di «clamorosa marcia indietro» ma la giunta (rappresentata in queste ore dall’assessore al Sociale Manuela Lanzarin, successore in pectore del neo sottosegretario Luca Coletto) nega con forza, spiegando di aver trovato la quadra per aprire nell’arco di tre anni le 280 medicine di gruppo («integrate» sparisce dal Piano) che ancora mancano all’appello. Le chiavi di volta sono due: amministrativi e infermieri saranno assunti dalla Regione e messi a disposizione delle medicine di gruppo; i medici di base potranno lavorare in convenzione, così com’è ora, ma anche in accreditamento triennale (come avviene per le cliniche private) o direttamente assunti dalla regione. Le modalità di funzionamento (come gli orari di apertura) e l’organizzazione sono state però rinviate ad un atto successivo.

«Welfare generativo»

Tra le proposte dell’opposizione accolte quella del dem Claudio Sinigaglia sul «welfare generativo» (più servizi e prese in carico e meno contributi a pioggia) e sull’attivazione del fascicolo elettronico dal 2019 e quelle di Piero Ruzzante e Patrizia Bartelle del Misto sul potenziamento degli Spisal, la verifica delle liste d’attesa e la contraccezione gratuita. Sul piano delle risorse va segnalata la discussione, senza esito favorevole, sull’eliminazione del superticket da 10, sull’esempio di quanto appena fatto dall’Emilia Romagna (servirebbero 50 milioni) e lo scontro maggioranza-opposizione sul dirottamento di 23 milioni dal bilancio sanitario al pagamento dell’annosa gestione liquidatoria delle vecchie Usl.

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