5 gennaio 2019 - 08:34

Reddito di cittadinanza e immigrati, Di Maio e lo slalom tra le parole

Il vicepremier Di Maio e la misura simbolo dei Cinque Stelle

di Alessandro Russello

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Nei loro slalom per evitare la chiarezza e quindi la verità delle parole, i politici fanno a gara da quando la politica è stata inventata. Chi più chi meno. L’ultimo fuoripista linguistico arriva dalle nevi bellunesi e appartiene al vice premier e ministro dello Sviluppo economico nonché leader dei Cinque Stelle Luigi di Maio. Che alla domanda sulla possibile concessione del reddito di cittadinanza anche agli stranieri (per i giuristi peraltro prevista dalla Costituzione, amatissima dal M5S) ha coniato una categoria - i «lungosoggiornanti» - che sembra alludere a una camerata di malati o a soggetti sottoposti al confino piuttosto che a percettori di un po’ di welfare. Il tutto, naturalmente, per non pronunciare la parola stranieri, che già alla «esse» fa perdere un milione di voti pronti a transitare nei vasi comunicanti che portano all’alleato-nemico Salvini, l’altro vice premier. Che a sua volta, sulla chiarezza della stessa parola, ha costruito il suo app-Pil elettorale, seppur al netto del mal di pancia di parte del Nord che non gli perdona l’aver barattato la «quota cento» sulle pensioni o il decreto sicurezza proprio con «l’odiato» reddito di cittadinanza. Ad ogni modo, il recente conio del termine lungosoggiornanti rivela che nella declinazione della «legge sulla povertà» la confusione e gli imbarazzi imperano.

Luigi Di Maio nel Bellunese (Zanfron)
Luigi Di Maio nel Bellunese (Zanfron)

I «lungosoggiornanti»

Da una parte Di Maio afferma che l’elargizione va assegnata ai cittadini italiani. Dall’altra, per l’evidenza del dettato costituzionale e sotto le pressioni dell’ala sinistra dei Cinque stelle, apre agli stranieri seppur slalomando fra i paletti lessicali. Cosa intende il vice premier per lungosoggiornanti? Sicuramente non i cittadini italiani, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di creare una platea differenziata di utilizzatori del sussidio. Quindi parla di stranieri. E quanto dovrebbero lungosoggiornare gli stranieri per ottenere il reddito di cittadinanza? Il ministro, nella visita fra Trentino e Veneto, alla fine l’ha chiarito: dieci anni. Guarda caso proprio il pacchetto temporale che serve per diventare cittadini italiani, anche se non è detto che uno straniero possa ottenere la cittadinanza in modo automatico (i dieci anni sono «solo» un presupposto di partenza). Ma sui tempi i Cinque stelle non vanno d’accordo nemmeno con se stessi. Nella bozza di contratto legastellato sta scritto che il reddito di cittadinanza sarebbe scattato dopo cinque anni, la metà. Lo stesso lasso di tempo indicato dal capogruppo regionale dei grillini veneti Jacopo Berti, in questi giorni compagno viaggio di Di Maio a Nordest e fra l’altro uno dei tre membri del comitato dei saggi che valutano le richieste di espulsione dei ribelli del movimento. Insomma, in attesa della conversione in legge del decreto, nel sovranismo legastellato la confusione sembra regnare sovrana e soprattutto potrebbe rappresentare l’ultimo imbarazzante incaglio del governo. Acuendo lo scontro strisciante fra Cinque Stelle e Lega, già messi alla prova dalle polemiche sul decreto sicurezza, che se dal Trentino Alto Adige fino all’Emilia Romagna ha visto l’opposizione di diversi sindaci di centrosinistra, nella compagine al potere ha fatto registrare il mal di pancia dell’ala progressista grillina.

Il reddito di cittadinanza

Ma se sul «decreto Salvini» c’è una maretta relativa, il vero scontro rischia di esplodere proprio sul reddito di cittadinanza. Vero che Di Maio è costretto a inventarsi la categoria dei lungosoggiornanti ma per la Lega diventerà una faccenda seria - dopo aver ingoiato il boccone amaro del sussidio pentastellato - dover dire al proprio elettorato che i soldi li prenderanno anche gli stranieri. Possibilità peraltro prefigurata dallo stesso sottosegretario leghista alla presidenza del Consilio Giancarlo Giorgetti, che ha giustamente ricordato come la Costituzione preveda l’accesso al welfare non solo agli italiani. Un Giorgetti che da una parte infila un dito in un occhio agli alleati (l’hanno voluto loro, non noi) e dall’altra non può non preoccuparsi delle ricadute in casa propria. Un timore del quale si è fatto portatore il governatore Luca Zaia, lesto a sottolineare che il reddito dev’essere assegnato con il principio della «cittadinanza» e non con quello della «residenza» (leggi stranieri).

Il cortocircuito nel governo

Come finirà? Difficile prevederlo. Certo è che l’ennesimo cortocircuito nel governo ancora amato dal 60 per cento degli italiani - perdipiù in piena campagna elettorale - pone il problema dei tempi della tenuta armonica nelle sempre maggiori diversità. Ormai molte partite si giocano extra-contratto e viene da fare un pensiero sulla reale (in)capacità di produrre un futuro «coerente» per il Paese da parte di un «governo ossimoro» che contiene in sè scelte opposte continuamente oggetto di baratto. Un contraente, turandosi il naso, fa passare i provvedimenti «odiosi» che interessano all’altro e l’altro ricambia facendo subire all’«alleato» quelli che premono a se stesso. Nelle compagini omogenee tradizionali si chiamava compromesso ma qui si va oltre: si va all’approvazione vicendevole di ciò che massimamente si disapprova.

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